Addio all’alpino brembillese Giovanni Offredi, reduce della battaglia di Nikolajewka: la sua storia

Val Brembilla perde una delle sue più forti e inossidabili penne nere. L'alpino Giovanni Offredi, 96 anni, originario di Gerosa di Val Brembilla e residente a Saronno.
7 Dicembre 2018

Val Brembilla perde una delle sue più forti e inossidabili penne nere. L'alpino Giovanni Offredi, 96 anni, originario di Gerosa di Val Brembilla e residente a Saronno, si è spento ieri sera, 6 dicembre, dopo aver lottato nel reparto di terapia intensiva. 

Ad annunciarlo l'alpino valdimagnino Carlo Manzinali sulla pagina Facebook de “Tre Faggi Fuipiano Valle Imagna”, che ricorda una delle frasi celebri dell'alpino Offredi e che evidenzia la tenacia e il coraggio di un uomo segnato dalla guerra: “Nella vita, a volte, le cose non sono semplici e bisogna saperle accettare”. 

La storia di Giovanni: dalla campagna di Russia al campo di concentramento in Francia.

Giovanni Offredi nasce a Gerosa di Valle Brembilla il 27 febbraio 1922 da Pietro e Angela Tartari. Viene chiamato alle armi come studente dell' Istituto Tecnico Industriale nel gennaio 1942, nel 5^ BTG misto genio divisione Alpina telecomunicazioni, specializzazione telegrafista. Il genio alpino guastatori  e telecomunicazioni all’epoca era composto da 850-900 persone. 

Parte per la Russia nel 112^ Gruppo Misto Tridentina il 20 luglio 1942 ed assieme ai suoi commilitoni viene mandato sul Don, cambiando la destinazione iniziale che era il Caucaso, una zona montuosa molto più adatta alle truppe alpine. Il genio comunicazioni si occupava di telefoni, radio, telescriventi, stendere le linee, proteggerle, far funzionare i collegamenti. Le linee telefoniche erano infatti spesso piantonate dalle guardie per evitare che qualcuno le danneggiasse, in particolare i partigiani russi (civili).

Con l’inverno ’42-’43 si muove l’offensiva russa con battaglie  terribili sul Don, proprio dove sono gli italiani che pur  con grandi perdite, tengono la posizione, permettendo  ai tedeschi di ritirarsi sul Donez, molti km più indietro. Quando le divisioni italiane hanno l’ordine di ritirarsi sono già imbottigliate.

Giovanni partecipa così a tutte le tragiche vicende della ritirata dal Don dal 15 gennaio fino alla fuoriuscita dalla sacca con il combattimento di Nicolajevka il 26 gennaio 1943. Con lo scarso equipaggiamento invernale  e con temperature di  -30/-40  °C   inizia così la ritirata di Russia, nella neve che arriva quasi alla cintola e così gelata che rimane farinosa anche dopo il passaggio di numerosi soldati. I camion che non funzionano per il gelo vengono bruciati  con tutta l’attrezzatura che non si può trasportare.

Tutti i giorni le truppe combattevano per aprirsi un varco e di notte venivano accerchiati di nuovo. Spesso gli sbarramenti di difesa delle formazioni militari e partigiane russe erano così forti che i soldati italiani, per non essere annientati, dovevano cambiare direzione. Per andare dal Don al Donez percorrono così molta più strada del necessario.

La ritirata si conclude a Nicolajevka il 26 gennaio con l’ultimo combattimento. I russi sono appostati sulla ferrovia (una specie di trincea che li difende) con mitragliatrici e lanciarazzi Katyusha. Gli italiani combattono tutto il giorno ma non riescono a passare. Il gen. Reverberi dà allora l’ordine che le truppe ammassate partano tutte insieme, allo scoperto, non c’è alternativa “O si passa o qui ci restiamo tutti!”; e così pur subendo gravissime perdite, anche a causa dell’elevato numero di soldati, l’Armir riesce a rompere l’accerchiamento nemico . 

Giovanni viene ricoverato nell’ospedale militare di Karkov (Ucraina) il 31 gennaio 1943 con principio di congelamento ai piedi. Quella stessa notte arrivano i russi e quelli in grado di muoversi, come lui,  riescono a prendere l’ultimo treno per la salvezza. Viene rimpatriato all’ospedale militare di Salsomaggiore  il 14 febbraio 1943 (con le tasche del pastrano militare riempite di patate pesa meno di 45 Kg). Rientrato al Corpo il 6 maggio 1943, viene aggregato alla 2^ divisione Alpina il 30 luglio 1943.

E’ fatto prigioniero dai Tedeschi a Bressanone l’8 settembre 1943, come molti suoi commilitoni. Trasferito a Limburg in Germania, nello Stamlager XII/A, viene poi portato per lavori di sgombero macerie e deceduti per bombardamenti a Manheim, poi successivamente nei sobborghi di Strasburgo per lavoro in una fabbrica di munizioni. Preso in consegna dai Francesi il 10 gennaio 1945, viene trattenuto in campo di concentramento francese  a Bourg-en-Bresse.

Finalmente  viene rimpatriato dalla prigionia il 23 novembre 1945. Riprende gli studi scolastici all’istituto tecnico Esperia di Bergamo e si diploma perito Elettrotecnico all’età di 27 anni nel 1949.  Successivamente si sposa con Maria Zuccala, da cui avrà 4 figli: Maria Luisa, Pierfranco, Chiara Maria, Alessandra Maria.

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