Camozzi, la famiglia che fabbricò cannoni per la Serenissima

La storia dei Camozzi, famiglia di Strozza e Clanezzo che tra XVII e XVII secolo fabbricava cannoni e rispettivi proiettili per Venezia.
13 Settembre 2019

Molto si è scritto negli ultimi anni a proposito delle capacità imprenditoriali nel campo della metallurgia di molti nostri convalligiani, maturata direttamente sui nostri monti – ben dotati da madre natura del prezioso metallo ferroso e non solo – fin dai tempi antichi. Notizie non sempre organiche hanno consegnato alla storia lunghi elenchi di maestranze locali chiamate a prestare i loro servizi nelle fucine e nelle fonderie di tutta Europa – grazie alla loro riconosciuta perizia e competenza – soprattutto nell’arte della fusione.

Di queste vogliamo, per l’occasione, riproporre quella dei Camozzi, perchè è forse stata una delle ultime che hanno operato con grande risonanza sul territorio brembano, prestando servizio alla Serenissima nel difficile campo degli armamenti. Originaria di Bordogna, la famiglia Camozzi nel XVII secolo ramifica la sua discendenza in Valle Imagna, precisamente a Strozza. Per la verità, non ci è di molto aiuto l’archivio parrocchiale di quel luogo per tracciare un profilo genealogico del fonditore di cannoni in quanto di Camozzi, oppure Camozzini o Camuccini, come venivano anche chiamati i componenti del casato nel XVII secolo a Bordogna, se ne trovano rarissimi. Le prime notizie che rintracciamo riguardano Giovanni Maria, maritato con Maria, dalla cui unione, dal 1664 al 1670, nascono Agnes, Lucia, Lucia e Faustina, e Giovanni Battista che, il 25 marzo 1725, si unisce in matrimonio con Lucia, figlia di Antonio de Zanchi. Tuttavia la presenza dei Camozzi a Strozza è largamente documentata da fonti notarili da cui possiamo ricavare alcuni aspetti interessanti per quanto riguarda l’attività della progenie di Carlo Camozzi.

La scrittura datata 17 dicembre 16682 , stipulata nella sala delle case del Nobil Huomo Illustrissimo signor Conte Francesco Leopardo Martinengo, nel loco di Clenezzo, è una compositione, accordo e transattione tra il signor Gerolamo Manara come Datiario del datio del ferro da una, et signor Antonio Camozzi da Strozza per l’altra, il quale fece a nome del signor Giovanni suo fratello absente, sopra alcune differenze vertenti tra detto signor Manara et il sudetto signor Giovanni et Marco Camozzi per occasione di (…) contrabandi fatti da detti Camozzi et sentenze sopra ciò seguite…per detta causa sulla qual sudetta esso signor Manara confessò esser totalmente sodisfatto d’ogni sua pretensione et summa liquidata da Amici comuni per detta causa et …come copia della quale stattami essibita et da me nodaro vista et al sudetto Camozzi letta a sua chiara intelligenza la qual da esso benissimo intesa, et considerata ha quella in tutte le parti ratificata et approvata come sta, canta e giace, et quella (…) et volendo hora esseguire pel tanto che detto signor Antonio fratello ha promesso in essa sua, a suo nome quindi e che personalmente constituito alla presenza il sudetto signor Giovanni del defunto Pietro Camozzi della Valle oltre la Gocchia hora habitante nel Comun di Strozza Vall’Imania d’et… legittima et oltre volontariamente et per scienza a richiesta et stipulate di signor Marco Camozzi dice confessa e solennemente protesta esser vero et (…) e real debitore del sidetto signor Marco… delle spese sostenute per la causa.

La presenza di un Marco Camozzi in quest’atto è sicuramente da ritenersi interessante. Innanzitutto, vista la questione, il “contrabbando” del ferro, possiamo dedurre che Marco si esercitasse nella lavorazione del metallo o al suo commercio e lo stesso nome ci riallaccia al padre di Carlo. Figlio di Giovanni Maria del defunto Pietro del defunto Giovanni Battista, proveniente anch’esso da Bordogna, Marco svolge a sua volta, come tanti suoi conterranei e parenti, un’attività metallurgica, confermata nel 1701 quando, con i figli Carlo e Gabriele, prende in affitto dal conte Leopardo Martinengo, per anni nove prossimi venturi, tutti li beni di Clenezzo…l’edificio della fucina…il porto. L’anno successivo, troviamo Marco che gestisce, oltre la fucina di Clenezzo, anche quella di Strozza.

 

La prova ci giunge dal seguente strumento notarile : Al Nome del S.to Iddio e della Beata Vergine Maria adì 24 luglio 1702 Bergamo. Vogliono le parti come se fosse pubblico et giurato istromento si dichiara come il signor Alessandro Basso datiario del datio della ferarezza del Bergamasco per suo proprio nome et per nome et interesse anco dalli altri suoi colleghi per li quali ha promessi et promette (…) di farla notificar la presente ad ogni semplice richiesta dell’infrascritto signor Camozzi sotto ogni suo obligo reale et personale et suoi beni presenti et futuri in piena ha (…) et investito sottora et investisce il detto Marco Camozzi di Clenezzo per il corrente anno da principiarsi il di primo genaro prossimo passato, et a fornirsi in fine del corrente anno per pretio de lire sei cento settanta in tutto compreso in esse lire 670 anco il datiato fatto sin al giorno d’hoggi così che detto signor Camozzi possa mandar liberamente il suo ferro lavorato tanto all Città di Bergamo come per tutto il territorio bergamasco et obligandosi detto signor Basso datiario dar il libretto delle bolette al detto signor Camozzi per potersene valere ad ogni suo piacere ma solamente per• per il ferro che far… lavorare nella fucina di Clenezzo et di Strozza perchè con la presente resta investito anco detto signor Camozzi per la fucina di Strozza da principiarsi et fornisi giusta come sopra con quella di Clenezzo, nella somma di lire quattrocento vinti una all’anno compreso in esse lire 420 anco tutto il datiato per il passato fatto da detti (…) per il corrente anno sino al giorno d’hoggi restando anco con la presente investito il detto signor Camozzi anco per l’anno venturo 1703 nel modo et forma et pretij come sopra per dette due fucine, dovendo detto signor Basso bonificar et compensar (…) detto signor Camozzi quanto il medesimo detto Camozzi ha pagato et pagar… in mano del postiero come anco tutti li dinari statti pagati et che dover… pagare per il datiato sino al giorno d’hoggi per la fucina di Strozza et Clenezzo et da qui indietro detto signor Camozzi si obliga pagar di due mesi in due mesi (…) di dette due somme in mano di detto signo Basso senza alcuna contradizione et non pagando detto signor Camozzi di due mesi in due mesi cada nella pena de dieci per cento di quanto sar… tenuto per ogni ratta pagare a detto signor Basso senza contraditione come (…) et che detto signor Camozzi non possa dar mano ad altri per patto e sotto pena di contrabando…”.

Scontata quindi la professione del padre, appare evidente che Carlo venisse instradato nell’arte della lavorazione del ferro all’interno della sua stessa famiglia, che aveva le sue radici proprio in quei luoghi della Valle Brembana le cui genti, da quel metallo, da secoli, traevano il loro principale sostentamento.

CARLO CAMOZZI Di Carlo, Giacinto Lanfranchi , scrive che risiedeva con la famiglia a Clanezzo. Questa affermazione è possibile sino al periodo precedente l’esercizio della fabbrica dei cannoni in quanto, dopo il 1712, la sua dimora risulta trovarsi a Lizzone. La residenza dei Camozzi a Clanezzo poteva ben essere lo stesso castello di proprietà dei nobili veneti conti Martinengo Barco, i quali, prima il padre Marco con i figli Carlo e Gabriele e poi il solo Carlo, nel 17115 , forse per la sopravvenuta morte del genitore, sin dall’inizio del secolo, conducevano i loro possedimenti, sia in Clanezzo come in Strozza.

Sempre il Lanfranchi scrive che Carlo, prima di dedicarsi alla produzione di cannoni, era stato occupato quale maestro, assieme a due fratelli, presso la fonderia Bailo di Brescia ove, appunto, si fabbricavano cannoni e rispettivi proiettili per Venezia.

Del suo trascorso in questo senso non abbiamo notizie ma ci è giunto all’attenzione un documento steso in giorno di sabato 10 febbraio 1703, nella sala a basso del Palazzo di raggione dell’Illustrissimo ed Eccellentissimo Conte Leopardo Martinengo de Barco N.H. veneto situato in Clenezzo, alla presenza di Carlo Barcella del defunto signor Lorenzo da Villa d’Almè, signor Giovanni (…) del defunto Antonino da Ponte S. Pietro, Giacomo del defunto Andrea Pilligrinelli del Monte Ubione et signor Antonio Scolari detto Gandillino del defunto Marchion de Gandillino, che ci introduce nell’argomento. Da esso veniamo a sapere che essendo che il signor Carlo figlio del signor Marco Camozzi, habitante in Clenezzo intenda pigliar ad affitto dall’Illustrissimo signor Conte Marc’Antonio Caleppi l’edificio di fucina di ragione di detto Illustrissimo signor Conte, qual edificio è posto nel luogo di Creder della Valle Caleppio per anni trei prossimi da principiarsi nel giorno che nella scrittura tra dette parti sarà appresso. Et intendendo detto Illustrissimo signor Conte Caleppio che per tal locatione s’oblighi(…)il signor Marco di lui padre non solo per la locatione come anco per scudi due cento di capitale che detto signor Conte intende sborsare a detto signor Carlo per sostegno del negotio et per li utensili della fucina suddetta et in tutto come nella scrittura di locatione. Et volendo detto signor Marco Camozzi far cosa grata a detto signor Carlo di lui figlio s’accontenta(…)obligatione et che di ciò ne conti pubblico intromento quindi è che(…). Presente e personalmente constituito il suddetto signor Marco del defunto signor Giovanni Maria Camozzi di Clenezzo di età perfetta qual spontaneamente et in ogni altro miglior modo a richiesta di detto suo figlio Carlo ha al medesimo datto et dà libertà di poter obligar qualunque suoi beni stabili presenti et futuri per la locatione et affittanza che seguirà tra detti signor Conte et detto Carlo di lui figlio come anco per li utensili che li saranno consegnati et per li scudi due cento di sostegno conseguiti che gli haverà et ciò sotto obligo .

Non siamo certi che il proposito sia andato a termine, ma rimane importante la testimonianza di come Carlo fosse già avviato all’attività metallurgica, anche con buone prospettive se consideriamo la fiducia che il padre gli accordò, impegnando le sue sostanze per ottenergli la fucina di Credaro.

Fu comunque nel 1712 che Carlo avanzò alla Serenissima la sua proposta per la creazione di un nuovo impianto di forni e uno schema di contratto attraverso il quale si impegnava a consegnare, annualmente, per dodici anni, quaranta cannoni di diverso calibro e rispettive munizioni. Sempre in quella scrittura, al Camozzi veniva data libertà di scegliersi il luogo ove impiantare la fonderia, anche fuori dal bergamasco, purchè vicina a miniere perfette. La scelta, sempre a detta del Lanfranchi, cadde sulla Ventulosa, in territorio di Villa d’Almè, nel luogo ove sfocia nel Brembo il torrente Imagna, e sul ferro preso dalle miniere della Valle Brembana, che era considerato “più dolce e più perfetto del Bresciano”. 

 

LE PROPRIETA’ DEI CAMOZZI A LIZZONE

Già agli inizi del secolo la famiglia Camozzi, che risiedeva in Clanezzo, aveva possedimenti in quel luogo. Questo risulta da due documenti che portano la data 4 e 10 marzo 1700 dai quali apprendiamo che i fratelli Domenico e Bartolomeo, figli di “madonna Elisabetta relitta del defunto signor Pietro Locatelli”, “habbino fatta vendita d’alcuni beni situati nel luogo di Lizzo comun di S. Salvatore di Almenno al signor Carlo Camozzo come figlio et pubblico negotiatore del signor Marco Camozzi di lui padre”, a saldo di alcuni debiti del genitore .

Da un altro strumento notarile, steso in data 20 gennaio 1712, veniamo a conoscenza di una istanza del N.H. l’Illustrissimo signor Conte Leopardo Martinengo contro li signori Gabriele et Carlo fratelli Camozzi suoi affittuali.

Il notaio, Horatio Pecis scrive che confertomi alle case di Lizzone et beni di raggione di detti signori Camozzi con la presenza di Cattarina moglie di Giacomo Micheletti officiale del Vicariato di Almenno per essere detto officiale absente et fu detta Cattarina Micheletti moglie di detto officiale haver posto et indotto nell’attuale et corporale possesso dell’infrascritte case, molino et beni…a nome di detto N.H. Eccellentissimo signor Conte Leopardo havendo il medesimo signor Dadda datto nelli beni della terra, legne et ogni altra cosa essistente nella medesima et nelle case et molino di detti signori Camozzi datto il possesso al detto signor Dadda…

Non siamo in grado di motivare l’istanza ma il documento ci ragguaglia sulle proprietà dei Camozzi al Lizzone che, come abbiamo visto, si estendevano sulle case e sull’antico molino.

Il 17 marzo dello stesso anno, in una camera del palazzo di Clenezzo di raggione dell’Illustrissimo signor Conte Leopardo Martinengo alla presenza, per testi Francesco Papetti di Bergamo, il molto reverendo signor don Giovanni Battista Scanabesi curato di Clenezzo, signor Pietro Piligrinelli del defunto Piligrino di Clenezzo et signor Andrea(…)del defunto Battista di Brescia famigliare di S.E. sudetta tutti noti idonei et osservanti, Gabriele e Carlo Camozzi del defunto Marco, residenti in Clanezzo, a loro miglior modo et titolo di dato vendita et cessione di raggione con animo però della formatione dell’infrascritto livello francabile more veneto hanno fatto et fanno dato libera vendita et cessione(…)del dominio et possesso libero e franco et spedito mercato in ogni altro miglior modo all’Illustrissimo et Eccellentissimo signor Conte Leopardo Martinengo del defunto Illustrissimo et Eccellentissimo signor Conte Francesco…nominatamente di una pezza di terra campiva et vidata posta et giacente nel luogo di Lizzone comune di S. Salvatore d’Almenno di pertiche dieci e otto. Si trattava di un appezzamento qual confina da mattina il letto della sariola di raggione di detti fratelli Camozzi, a mezzo di parte detti signori venditori et parte il fiume Brembo, a sera il fiume Brembo e da monte detti signori fratelli Camozzi.

Questa vendita, oltre che riconfermare le dimensioni ragguardevoli delle proprietà dei Camozzi a Lizzone, ci induce a considerarla un atto dovuto forse per far fronte alle necessità finanziarie di Carlo che, come abbiamo anticipato, nel giugno di quell’anno, andava per avviare la sua fabbrica di cannoni.

IL LOCO DELLA FONDARIA DE CANONI DEL SIGNOR CARLO CAMOZZI

Il ritrovamento di un ingente numero di documenti notarili ci testimonia senza alcun dubbio che, contrariamente a quanto sino ad oggi affermato e anche poc’anzi riportato dalla De Luca, il loco della Fondaria de canoni del signor Carlo Camozzi, era “posta di là dal Brembo Comune d’Almenno Santo Salvatore distretto di Bergamo. 

Si tratta di quella fascia di terreno sulla sinistra del fiume chiamata Lizzo, o Lizzone che, proprio con l’installazione della fabbrica di cannoni prese il nome di Fonderia, denominazione che conserva tuttora, e che è stata integrata, dopo l’unità d’Italia, nei confini di Villa d’Almè. Accertato quindi che la fonderia venne realizzata in territorio di Almenno San Salvatore, resta la curiosità di definire il luogo ove questa venne costruita.

Comunemente si dice che trovasse posto nei locali che attualmente, ancora ospitano, seppur disattivato, il mulino di cui abbiamo documentato l’esistenza già dal secolo XV. Alcune testimonianze però, ci inducono a proporre una versione diversa. Queste sono raccolte in due documenti; nel primo che porta la data 1713 si accenna alla presenza di una casa con molino di due rote et altra casa attaccata poste nella contrada di Lizzone comun di S. Salvatore d’Almenno fra le proprietà dei Camozzi e, l’altro, datato 14 maggio 1714, il quale attesta che nella casa et molino di raggione del signor Carlo Camozzi posta nella contrada di Lizzone abitano Bartolomeo et moglie Capelli.

Non ci interessa accertare se il molino avesse a funzionare in quel periodo ma, quel che maggiormente conta, è definire che l’edificio continuava ad esistere nella sua struttura alla quale era stato destinato nei secoli precedenti. Non appare quindi possibile che la fonderia del Camozzi, attiva nel 1712, ne abbia preso il posto, come qualcuno afferma.

Scartata questa ipotesi, la nostra attenzione si è posata prima sugli edifici addossati allo stesso molino ma l’esistenza di una deviazione della seriola che conduce l’acqua dal fiume Brembo al molino, pochi metri prima del molino stesso, ha attirato la nostra curiosità. Infatti, questa ci ha fatto intuire che, in passato, andava alimentando una attività distinta dalla macina, bisognosa anch’essa, viste le dimensioni della condotta, di una consistente fornitura d’acqua.

Stabilito che la seriola principale serviva ad alimentare le pale del molino, abbiamo seguito con attenzione il tragitto della derivazione. Ancora estremamente leggibile, questo porta verso il corpo di costruzioni il quale sorge parallelo al molino e alle case attigue, da cui è diviso da una strada che sfocia in uno spiazzo circondato da quei che, in tempo recente, sono stati utilizzati come capannoni di deposito. Al suo interno, in un luogo molto ampio che per ultimo ha ospitato una segheria, si può vedere lo sbocco della condotta d’acqua che l’attraversava, per poi sfociare all’esterno rimettendo, dopo un breve tratto scoperto, le acque nel fiume Brembo.

Questo elemento ci ha fatto ipotizzare che la fonderia avesse a sorgere proprio in quel luogo, magari negli stessi edifici che, in seguito, hanno subito notevoli trasformazioni strutturali. Una conferma in tal senso ci è pervenuta attraverso la testimonianza degli attuali proprietari dell’immobile considerato. Essi riferiscono che, al momento della ristrutturazione dell’edificio, avvenuta nei primi decenni di questo secolo, il suolo del piano terra, risultava ricco di materiali laterizi e detriti ferrosi e fuligginosi.

Inoltre, all’interno dell’immobile, ancora è visibile una pietra d’angolo che porta incisa una sigla, A.D.G.E., a cui non siamo riusciti a dare un significato, e la data 1742, anno in cui ancora era in funzione la fonderia. Pur sapendo che quanto siamo andati rielaborando non porta con sé nessuna certezza, lo proponiamo come oggetto di discussione, in attesa di qualche più attendibile conferma che, al momento, non possiamo fornire.

Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.4” e scritto da Diego e Osvaldo Gimondi​.

 

 

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