Come una donna doveva scrivere al marito in guerra

In questa prima puntata della rubrica dedicata alla storia della Valle Brembana parliamo del modo in cui le mogli brembane, durante la Grande Guerra, dovevano scrivere le lettere ai loro mariti al fronte.
19 Ottobre 2017

Uno degli ambiti che vedevano coinvolte le donne nel prestare la propria opera a favore della patria durante la Prima Guerra Mondiale era saper scrivere delle buone lettere ai soldati al fronte. Cosa era richiesto a una donna dei piccoli paesi della Valle Brembana? La risposta viene dal giornale cattolico «L’Alta Valle Brembana».

Nel novembre del 1917, il «Giornale di San Pellegrino» pubblicò un intervento dell’On. Belotti, in cui parlò della «potente influenza della donna sull’animo dei soldati» sottolineando però che «non sempre e dovunque si è mantenuta all’altezza della sua gloriosa missione – perché – talvolta un eccesso di sentimentalismo l’ha condotta a riuscire elemento di debolezza pei nostri soldati» e incoraggiò la donna «a mostrarsi degna della sua missione e – a saper – incuorare ed animare, formando non dei codardi, ma degli eroi per la difesa e per la fortuna della patria».

Qualche mese prima, sulle pagine de «L’Alta Valle Brembana» comparve un articolo che illustrava in modo semplice ed efficace quanto detto dall’On. Belotti e il compito  delle valligiane nel confortare i mariti in guerra. Il titolo dell’articolo era chiaro: “Accanto alla Guerra. La moglie del soldato”  Si tratta di un lungo articolo che insegnava alle mogli della Valle come scrivere una lettera al marito al fronte attraverso due esempi: la scrittura di una lettera sbagliata e quella di una corretta.

Vediamo cosa non doveva e cosa doveva scrivere una moglie al proprio marito:

Lettera sbagliata
«Mio povero amico! Sono avvilita… m’annoio di te… della guerra che si eternizza… di tutto. Non ne posso più! Il cugino Berti è tornato amputato da un braccio. Come farà egli adesso? La nostra piccola Gemma è ammalata, ieri aveva 38 gradi di febbre, ho fatto venire il dottore; e Arturo, benché grandicello, non è utile a nulla. Tutt’altro, con le sue testardaggini mi fa delirare! Il denaro poi, non è più roba per me, fugge da ogni lato e sovente ne sono liscia. Quello che mi opprime di più è la tua assenza. Vedessi come ogni cosa va in sfacelo! E dopo la guerra che faremo? Mio Dio! La mia lettera non è gaia, lo vedo, ma se non dicessi tutto a te, a chi lo potrei dire io? Tutta melanconica ti saluta la tua Sidonia».

Lettera corretta
«Mio caro e buon amico! Il cielo è grigio e la pioggia, rabbiosa, spruzza contro i vetri. Ma che importa? Ho il cuore pieno di sole perché scrivendoti sono tutta con te. […] Vedi tua moglie non s’annoia neppur per sogno! È una vera moglie di soldato. Cugino Berti è tornato, monco d’un braccio, ma tutto sommato sta meglio di tanti altri e con un buon braccio artificiale sarà fatto il giunto, come direbbe un falegname. Nostra piccola Gemma sta bene, questa sera però è un po’agitata, saranno i denti certo. L’Arturo poi, è un vero figlio di soldato. Se lo vedessi con quale entusiasmo si trucca da soldato con una bisaccia per zaino e un randello per fucile mentre fa il giro della casa! […] Se li vedessi i tuoi due amoretti con quale raccoglimento, ogni sera, recitano la loro preghiera per loro babbo caro e con che sorriso mandano un bacio alla tua fotografia prima di coricarsi! In quanto al nostro stato finanziario non preoccuparti, non ci manca nulla. Alle volte qualche deficienza nel borsello, ma non conta, e poi, ciò è anche un po’ di buona salute per noi donne. Due cose io chieggo favorosamente a Dio: la nostra vittoria ed il tuo ritorno, e l’uno e l’altro sento che si avvicinano e ne provo un inebriante piacere. Dunque coraggio mio caro amico!… Se sapessi quanto sono fiera di saperti lassù su quell’arduo fronte! Animo adunque mio buon compagno, pensa che i tuoi sacrifici e le eroiche tue pene, ti fanno più onorato davanti al mondo e più amato da quella tua compagna che è tutta per te e […] ti abbraccia di cuore, tua Aff.ma Sidonia».

Nella prima, Sidonia è molto pessimista nei confronti del presente e del futuro, mentre nella seconda, cerca di confortare il marito nonostante le difficoltà perché «Inviando[gli] un po’ di sole, l’anima sua rimaneva luminosa e facendogli del bene, se ne faceva ad essa medesima. E quella dannosa bestiaccia che chiama nostalgia era rimasta appiattata in fondo al calamaio. […] Quale è il più disgraziato dei due? L’uomo che vive sotto la mitraglia o la donna che in fin dei conti ha ancora una casa, un focolare, una tavola ed un letto?»

Alle donne dell’alta Valle Brembana veniva chiesto di sacrificare l’intimità del dialogo famigliare e di celare le difficoltà quotidiane con coraggio e spirito di sopportazione, per non pesare sul morale del marito lontano. La donna doveva, così, mettere a disposizione dell’esercito in guerra quelle che erano considerate le principali “doti” femminili: la capacità di sopportare sofferenze e sacrifici, l’obbedienza, la fedeltà. Queste doti si convertiranno simbolicamente negli altri ruoli fondanti l’identità delle donne in guerra: la madre eroica che accetta di sacrificare i figli alla patria e la vedova.

Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.15” e scritto da Michela Giupponi del Centro Storico Culturale Valle Brembana

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