I preparativi del Natale nella tradizione culinaria bergamasca

In questa nuova puntata di "Valle Brembana in bianco e nero" vediamo come si preparavano una volta le cucine delle famiglie in vista delle festività natalizie.
12 Dicembre 2018

Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.1” e scritto da Fiorenzo Baroni.

L’alimentazione necessaria alla vita delle persone è sempre naturalmente legata alla terra in cui viviamo: il clima a cui è soggetto il suolo e che ne determina le coltivazioni, gli animali selvatici, quelli d’allevamento (siano essi di terra, fiume o lago), e mettiamoci anche l’intelligenza delle persone. È da tutto questo che ha origine il ciclo vitale necessario alla nostra salute. La cucina riveste particolare importanza in occasione di festività religiose, ricorrenze, avvenimenti particolari. Ecco allora che la creatività della massaia si esprime in tutta la sua maestria, come atto d’amore verso la famiglia, con la creazione di piatti importanti che rimangono nel tempo tramandati alle generazioni come patrimonio di tradizione. Così come rimangono nella memoria la parlata, i canti, i costumi, i balli e quant’altro si esprime nei giorni di festa.

Essendo la nostra provincia situata nella zona climatica prealpina con montagne, laghi e pianura, essa regala all’uomo una varietà pressoché completa di prodotti adatti al suo sostentamento. Le festività natalizie e di fine d’anno sono le più importanti per noi, sia per la nostra estrazione religiosa, sia perché cadono in pieno inverno e gli emigranti tornavano a casa, la gente (almeno un tempo) era meno impegnata nel lavoro e così la famiglia era tutta riunita. Per preparare questa festa i preparativi iniziavano alcuni mesi prima allevando allo scopo maiali, polli, tacchini, anitre ecc. Tutti concorrevano all’allevamento di questi animali. I formaggi prodotti venivano messi a maturare con particolari cure in appositi “silter”, locali scavati nel terreno e aerati a dovere per mantenere una temperatura costante. La frutta: fichi, uva, uvetta selvatica, venivano messe ad appassire per essere conservate. I frutti di bosco: mirtilli, fragole, lamponi, raccolti con cura, venivano cotti con miele (in mancanza di zucchero) e conservati come appetitose marmellate. La frutta secca, noci e nocciole, pulite del loro guscio, venivano messe ad essiccare nel fienile perché era il locale più asciutto e adatto alla bisogna.

Le nespole, colte dopo le prime brinate, venivano raccolte e poste a maturare nella paglia. Le castagne, giunte a maturazione, dopo la perticatura venivano raccolte dal terreno ed erano in parte consumate subito, in parte fatte essiccare e poi macinate fino a produrre una farina finissima con cui veniva realizzato un particolare dolce chiamato “castagnaccio” o “castagnaccia”. I ricci della castagne, ancora interi e pieni di frutti, si conservavano in locali dove si tenevano le foglie (la parta bassa del fienile). Conservate in questa maniera le castagne, si mantenevano fresche come appena colte e, fatte a caldarroste, accompagnate dal primo vino novello, rallegravano i pomeriggi di festa assieme ai giochi di famiglia: tombola, carte ecc.

L’orto era una ricchezza per le famiglie. Da esso si ricavavano alcuni prodotti che si potevano conservare per mesi: patate, carote, rape, zucche, fagioli ecc. Altre verdure venivano trattate e conservate in vasi. Si constata così quanto sia complesso il sistema per avere a disposizione gli alimenti prima di trasformarli in cibo, quanto tempo occorresse per la preparazione, quanta capacità e dedizione fosse necessaria. Noi tutti ricordiamo la cucina della nostra mamma o della nonna ed aneliamo al ritorno a casa per il calore che vi troviamo.

Questi sono i ricordi piacevoli che si tramandano da generazioni e che diventano tradizioni, usi e costumi. Parlando di alimentazione, o meglio di cucina, dobbiamo sempre tener presente la distinzione fra la cucina di tutti i giorni e quella della festa, entrambe necessarie perché anch’esse seguono il ritmo diverso della vita. Così come vi è sempre stata la cucina del ricco e quella del povero. Tutto ciò è avvenuto storicamente anche nelle nostre valli bergamasche. Le cose sono cambiate quando il rapido progresso ha portato ad un arricchimento finanziario delle famiglie, comportando lo stravolgimento del sistema patriarcale e il cambiamento di usi e costumi.

Paesi e frazioni di montagna sono stati in parte abbandonati, il territorio e le coltivazioni ad esso connesse trascurati, così come sono state dimenticate tradizioni ritenute superflue e non produttive. Ora è necessario riscoprire “chi eravamo”, e come possiamo convivere in modo accettabile con la natura, nel pieno rispetto ambientale, rivalutando il nucleo familiare, perno fondante di ogni sviluppo.

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