Al Turoldo incontro con un’agente di polizia penitenziaria: ‘il Carcere di Bergamo uno dei più affollati d’Italia’

La studentessa Chiara Gotti dell'Istituto Turoldo di Zogno racconta l'interessante incontro con l'agente di polizia penitenziaria di Bergamo, Marica.
16 Marzo 2019

Testo scritto dalla studentessa Chiara Gotti di 4BU nell'ambito del progetto “La Voce Giovane! delle Valli”.

Martedì 12 febbraio, presso l’istituto “D. M. Turoldo”, noi ragazzi della 4^BU insieme ad altre due classi abbiamo incontrato Marica, un’agente di polizia penitenziaria di Bergamo. L’incontro ci è stato proposto dalla professoressa Musitelli, docente di religione, che aveva già invitato Marica nelle scuole per permettere agli alunni di avvicinarsi al mondo del carcere.

Abbiamo affrontato il tema della reclusione perché stavamo studiando il significato di due opere di misericordia spirituali e corporali: ammonire i peccatori e visitare i carcerati. Per approfondire l’argomento abbiamo visto il film “Dead man walking”, altri documentari sulle condizioni di vita delle strutture penitenziarie, abbiamo consultato alcune statistiche attendibili e abbiamo discusso in classe. La prof,ssa Musitelli, a questo punto, ci ha proposto di ascoltare la testimonianza di una guardia carceraria affinché potessimo essere più consapevoli della realtà detentiva, e anche per rendere più concreta la tematica che stavamo trattando in classe.

Durante l’incontro Marica ci ha illustrato il compito delle guardie carcerarie: oltre a prestare servizio tra le mura del carcere, si occupano di trasportare i detenuti in altre strutture (come ospedali, tribunali, o altri penitenziari) e del piantonamento. Il rapporto tra guardia e carcerati è distaccato. È importante che gli agenti siano professionali e rigidi perché spesso i reclusi, con l’intenzione di corromperli, cercano di studiarli e cogliere i loro punti deboli. A volte, però, capita che stando a fianco dei detenuti questi si confidino testimoniando anche alcuni reati, che però devono subito essere segnalati. Altre volte, invece, dinnanzi a situazioni difficili, è necessario che con umiltà ci si “spogli” della divisa e ci si appresti ad ascoltare il detenuto, dandogli anche una parola di conforto.

Dopotutto sono numerosi i momenti di difficoltà e di disagio, dovuti anche semplicemente alle condizioni di vita del carcere. Purtroppo quello di Bergamo è uno dei più sovraffollati, perciò più carcerati si trovano a vivere in celle di pochi metri quadrati. Queste sono arredate con mobili di legno e letti in ferro, per garantire l’incolumità dei reclusi, una tv, un mini frigo e un piccolo bagno a volte munito di doccia. Nelle sezioni detentive in cui questo non è possibile sono allora presenti docce in comune. Ai reclusi è anche concesso avere un fornelletto a gas per cucinare che, non essendo però un oggetto messo a disposizione dal carcere, devono acquistare a proprie spese. Ognuno ha inoltre a disposizione un piccolo mobiletto ed in ogni cella è presente una finestra, ovviamente sbarrata.

Tutti i detenuti hanno la possibilità di fare telefonate una volta alla settimana e hanno il diritto di ricevere sei visite al mese. In casi particolari deve essere fatta richiesta al magistrato che, analizzando la situazione, fornisce, se possibile, permessi speciali. È anche consentita la corrispondenza epistolare: le lettere vengono consegnate dagli agenti che le aprono dinnanzi al carcerato, per controllare che non contengano materiali pericolosi o vietati in carcere. Subito dopo, queste vengono consegnate al destinatario, senza essere lette dalla guardia, che non ne ha il diritto. Ovviamente alcune condizioni e certi permessi variano per coloro che si trovano in isolamento e che hanno commesso reati gravi.

Ogni recluso ha la possibilità di fare la spesa e, se possiede un reddito, può anche chiedere dei prodotti particolari in base alle sue esigenze. Come ci ha detto Marica, la spesa più grossa consiste generalmente nelle sigarette. Inoltre, coloro che hanno un reddito, fornito anche dal lavoro retribuito che svolgono all'interno del carcere, devono versare una caparra mensile di 110 € allo Stato per il loro mantenimento: in questo modo si cerca di fargli capire che non tutto è dovuto, e si cerca di responsabilizzarli. Un’altra informazione che ci è stata data riguarda lo sconto della pena: nel momento in cui i carcerati manifestano una buona condotta nell’arco di sei mesi, allora verranno detratti 45 giorni alla fine della loro pena.

Tra le tante domande che sono state poste durante l’incontro, una ragazza chiedeva se il carcere sia qualcosa di funzionale. Marica ha risposto che ovviamente le pene devono essere scontate e che di fronte ad un reato non si può far finta di niente. Però in certi casi, di fronte a reati non gravi e pene brevi, invece del carcere sarebbero più funzionali ed utili percorsi rieducativi. In questo modo, se i detenuti si impegnassero in lavori socialmente utili, si riuscirebbe a facilitare il loro reinserimento ed inoltre si potrebbe far fronte anche al problema del sovraffollamento. Già il carcere prevede dei laboratori alternativi che, oltre a tenere i detenuti impegnati, per rompere la monotonia e ravvivare il clima del posto, sono finalizzati alla rieducazione.

Purtroppo l'incontro è durato solo un’ora e così è stato difficile poter avere un quadro più completo, ma nonostante questo Marica è stata molto disponibile e ha saputo rispondere alle nostre domande in modo semplice e chiaro. Dal suo racconto sono emersi l’entusiasmo e la passione con cui svolge il suo lavoro. Più volte ha anche ribadito l’importanza che avvengano nelle scuole incontri come questo, che ci permettono di venire a conoscenza di realtà che sono lontane da noi. Questa sua convinzione è stata evidenziata dalla sua stessa presenza davanti a noi: nonostante fosse al nono mese di gravidanza, ha accolto l’invito ed ha voluto essere presente.

Per noi, oltre ad essere stato un incontro che ci ha fornito un tassello in più sulla formazione di cittadinanza e costituzione, è stata anche un’esperienza unica, che ci ha permesso di essere più consapevoli nei confronti di questo “mondo a sé” spesso stereotipato. Sarebbe bello e soprattutto utile se questa iniziativa diventasse un progetto d’istituto, previsto nei programmi curricolari, perché è un’occasione che non capita tutti i giorni e che sicuramente vale la pena vivere.

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