Serina, la vittima del prete condannato scrive a Papa Francesco

Dopo la decisione della comunità di Serina di sottoscrivere una raccolta firma a sostegno del prete condannato, la vittima ha deciso di scrivere una lettera a Papa Francesco.
20 Marzo 2019

Da una parte una ragazza come tante altre, bambina ancor prima di diventare donna, che raggiunta la maggiore età denuncia il prete che l'ha molestata da piccola. Dall'altra il paese, che si schiera dalla parte del sacerdote e sottoscrive una raccolta firme in suo sostegno, nonostante sia stato condannato in via definitiva a sei anni di carcere. È quanto accaduto a Serina, che negli ultimi giorni si è ritrovata con i riflettori puntati addosso dopo la controversa decisione: ora la vittima ha preso nuovamente il coraggio a due mani e ha deciso di scrivere una lettera a Papa Francesco, per raccontargli la storia del suo abuso, del paese e di quel prete, che fino ad ora si è sempre dichiarato innocente.

Una lettera colma di dolore, che racconta il terrore di non essere creduta da nessuno. “Caro Papa Francesco, – inizia così la missiva – sono Valentina e vorrei raccontare la mia storia. Quando ero bambina, un prete del mio paese, don Marco Ghilardi, ha abusato di me. Era anche il mio maestro di religione alle elementari. Purtroppo, ho aspettato molti anni per denunciare, perché avevo paura di non essere creduta, anche perché questo prete era molto attaccato alla mia famiglia”.

La lettera continua, spiegando cosa è accaduto dopo: a 18 anni, nel 2013, la denuncia, il paese che dava le prime avvisaglie di schieramento, il primo processo in cui il prete è stato assolto e i due successivi in cui i giudici le hanno creduto, l'ex sindaco presente ad ogni udienza per sostenere il sacerdote e la sentenza definitiva, a gennaio. Ma è in quel frangente che le cose hanno iniziato a precipitare.

“Il 28 febbraio – continua Valentina – è uscito l’articolo in cui si scriveva che il sacerdote era in carcere. Il primo marzo mi sono trovata nella bacheca sotto casa un foglio con la raccolta delle firme per mandargli una lettera. Ognuno può avere il pensiero che vuole, non pretendo che, nemmeno dopo la sentenza, il paese sia dalla mia parte. Vorrei, però, che chi vuole sostenere il sacerdote lo facesse privatamente, non diffondendo quel foglio ovunque. Sono anche io una persona di Serina e continuo a viverci. Una persona, sotto casa, mi ha detto che dovrei abbassare la testa per quello che ho fatto. Chi mi incontra mi saluta a fatica. Non chiedo che vengano ad abbracciarmi. Ma nessuno, mai, mi ha chiesto una volta come sto. Ho momenti in cui esplodo e piango. Si ripete sempre di denunciare, ma se poi una ragazza si trova in questa situazione come può avere il coraggio di farlo?”.

Una realtà dura e comune a moltissime vittime di abuso, che porta a riflettere. La comunità di Serina, infatti, ha deciso per la quasi totalità di schierarsi apertamente a favore del parroco attraverso un foglio di firme, sottoscritto da 1250 persone su 2073 abitanti: più della metà della comunità serinese. Fra l'elenco di firme, spunta anche quella dell'ex sindaco Giovanni Fattori, sempre presente alle udienze, e dell'attuale primo cittadino Giorgio Cavagna, che ieri mattina durante la trasmissione “Storie Italiane” su Rai Uno, si è difeso affermando di sapere “perfettamente che sostenere un pedofilo non ha alcun senso, ma si tratta solo un attestato spontaneo della gente di Serina senza andare contro nessuno, non vi è alcuna parola che vada contro la ragazza. La solidarietà a Valentina è totale, assolutamente, non deve essere letta come contrapposizione”.

“Un attestato spontaneo” che, stando a quanto racconta la ragazza nella lettera, sarebbe finito appeso nella bacheca sotto la sua casa poco dopo la carcerazione del sacerdote, come una bandiera sotto la quale i suoi concittadini sembrano volersi riunire. “Il processo è finito, i giudici hanno deciso – prosegue la lettera – Ma quella sotto processo sono io e non vedo una via d’uscita. Vorrei incontrarla per sentirmi compresa da lei. Per me sarebbe un modo per andare avanti. Per me e per la mia famiglia. Mi creda, non sono felice perché un prete è in carcere, anche se penso che sia giusto, dopo anni da quello che è successo. Non mi consola nemmeno, tanto la ferita mi rimarrà. Però se avesse ammesso, qualcosa sarebbe cambiato. Almeno l’atteggiamento della gente”.

Per il momento, non c'è stata ancora alcuna risposta da parte di Papa Bergoglio, nemmeno dalla Conferenza episcopale italiana, entrambi freschi di summit sulla pedofilia svoltosi dal 21 al 24 febbraio scorsi. In quell'occasione, il pontefice ha dichiarato che “Se nella Chiesa si rilevasse anche un solo caso di abuso – che rappresenta già di per sé una mostruosità – tale caso sarà affrontato con la massima serietà”. Anche il vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, per ora non ha lasciato trapelare alcuna risposta. “Purtroppo non è un caso isolato” ha dichiarato Francesco Zanardi, presidente della “Rete L'abuso” – una associazione dei sopravvissuti agli abusi sessuali del clero – in un'intervista a Il Fatto Quotidiano.

Diverse, infatti, le vicende analoghe a quella accaduta a Serina, come ad esempio quella di don Luciano Massaferro ad Alassio, dove gli abitanti organizzarono una fiaccolata a suo sostegno passando proprio sotto l'abitazione della vittima. “Purtroppo questi episodi spesso derivano principalmente dalla cultura – ha proseguito Zanardi – Il nostro Paese fino a non molti anni fa aveva come prima figura di riferimento il sacerdote, poi veniva il medico, il maresciallo e infine il primo cittadino. A fare nascere poi i giudizi nei confronti delle vittime è il fatto che troppo spesso non si conosce la materia”.

“Un trauma psicologico, ancor prima di essere fisico”: con queste parole Zanardi riassume la natura di un abuso, sottolineando come, quando la vittima è una donna, ad innestarsi sono anche tutta una serie di pregiudizi che, purtroppo, vanno a provocare reazioni simili a quello accaduto nel paesino brembano. “A mio avviso, quando si verificano cose del genere, credo che intanto dovrebbe essere la stessa Chiesa a dover cercare di dissuadere dal mettere in atto queste iniziative. Se nel nostro Paese ci fossero più informazione e maggiori campagne di consapevolezza, probabilmente le persone rifletterebbero di più prima di avviare certe iniziative” conclude.


(Fonte: ilfattoquotidiano.it)

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