Stop violenza sulle donne: Sara, Chiara, Elena ed Ilaria ”ecco perché vogliamo fare le volontarie”

Il Centro Antiviolenza Penelope ha avviato un corso per operatrici volontarie. Abbiamo incontrato quattro ragazze che hanno voluto condividere la loro esperienza: Sara, Chiara, Elena e Ilaria.
25 Marzo 2019

Venti donne in dieci mesi, di età media generale di 37 anni: questi sono i dati venuti alla luce a gennaio riguardo il Centro Antiviolenza Penelope, che da un anno opera sul territorio della Valle Brembana e Valle Imagna-Villa d'Almè, fornendo supporto e tutela a tutte quelle donne vittime di violenza. Lo scorso 13 febbraio ha preso il via un corso per operatrici volontarie, promosso dal Centro e aperto a tutte quelle donne che vogliono porgere il loro sostegno aiutando concretamente altre donne in difficoltà.

Il corso, avviato lo scorso febbraio, si concluderà ad aprile: le due operatrici Barbara e Chiara tengono una lezione ogni due settimane e le attuali partecipanti sono una trentina, di età, professioni e percorsi di studio differenti. Gli incontri, svolti presso la Sala Consiliare del Comune di Villa d'Almè, sono formati da lezioni frontali di tre ore ciascuna e da lavori di gruppo che aprono occasioni di confronto e spunto. In ogni lezione si affronta un aspetto specifico del lavoro delle operatrici, sia a livello teorico (anche per mezzo di filmati), che pratico, per insegnare come muoversi in caso di immediata necessità per donne in difficoltà.

Di questa trentina di partecipanti, ne abbiamo incontrate quattro che hanno voluto condividere la loro esperienza e le proprie opinioni sul corso e sulla violenza di genere: sono (da sinistra) Sara, 22 anni, Chiara, 24 anni, Elena, 24 anni e Ilaria, 24 anni, provenienti da zone differenti della bergamasca – Almè, Treviolo, Capizzone e Lenna. “Durante il corso hanno descritto come il maltrattamento derivi da una disparità culturale fra uomo e donna, di cui è specchio anche il nostro linguaggio, come esistano quattro principali forme di violenza, che si sviluppa nel “ciclo della violenza”, come non esista una sola tipologia di donna che si rivolge al centro, ma soprattutto che le operatrici devono collaborare con la donna, dando credito al suo racconto, e non per la donna, sostituendola” spiega Sara.

Quando si parla di violenza, infatti, il pensiero corre subito agli schiaffi, ai pugni e alle percosse, ignorando spesso che non sono queste le uniche forme di violenza che una donna può subire all'interno delle mura domestiche. Esistono anche la violenza psicologica, molto più subdola che si manifesta con attacchi verbali principalmente, quella economica e quella sessuale. “Troppo spesso è la donna stessa a giustificare il partner nelle sue azioni perché “dopotutto è vero che spendo tanto”, “in effetti non posso andare in giro vestita così, devo essergli fedele” – spiega Chiara – La violenza di genere può assumere tante e variegate forme, bisogna fare attenzione e cercare di diventare consapevoli dell’ambiente in cui si vive”.

Si innesta così un “ciclo di violenza”, che è stato oggetto di uno degli incontri tenuti durante il corso, uno dei più apprezzati da tutte le quattro ragazze. Il ciclo della violenza è quella situazione in cui “una donna si ritrova invischiata con un partner maltrattante nonostante abbia coscienza della situazione in cui si trova” spiega Chiara. Il ciclo prevede infatti una prima fase, in cui la tensione cresce con insulti e minacce da parte del partner, a cui segue un episodio di violenza che viene messo subito a tacere dal maltrattante penitente che si scusa e giura che non succederà mai più, portando la donna a perdonarlo. È questo il punto di partenza di un ciclo spesso complesso da interrompere: “Per la donna che si trova all’interno di questo meccanismo è difficile essere oggettiva, anche in luce dei sentimenti che prova per il partner” conclude Chiara.

Ma per quale motivo hanno deciso, le ragazze, di seguire il corso? Fra le varie motivazioni, fa capolino quella di “conoscere le dinamiche retrostanti il fenomeno del femminicidio” per Sara, mentre per Elena si tratta di un tassello importante per la sua crescita personale, “è facile dire di essere contro la violenza, è facile condannare, ma a un certo punto bisogna anche agire, impegnarsi attivamente” spiega. Secondo Ilaria, invece, quella del corso di tratta di “una grande opportunità per aiutare delle persone e per dare un piccolo contributo personale. Inoltre, per quanto le tematiche trattate siano molto difficili e delicate, si tratta di un'esperienza di arricchimento personale incredibile”, mentre Chiara, che già si interessa a tematiche di uguaglianza e attivismo attraverso un gruppo chiamato “Unibg for Equality” avviato con colleghi e colleghe universitari, grazie a questo corso vorrebbe diffondere informazioni e conoscenze su queste tematiche un po' 'spinose', “nella speranza di portare all’interno della nostra università e su tutto il territorio bergamasco un maggior senso di sicurezza e protezione per le minoranze”.

Protezione e sicurezza, che il Centro Antiviolenza Penelope riesce a fornire operando in entrambe le Valli – Brembana e Imagna. Aperto l'8 marzo 2018, la sede del progetto si trova a San Pellegrino Terme presso Villa Costanza, due sportelli aggiuntivi sono stati istituiti ad Almenno San Bartolomeo e a Sant'Omobono Terme lo scorso ottobre per l'Ambito Valle Imagna-Villa d'Almè con la collaborazione dell'Azienda Speciale Consortile. Un'importante risorsa per un territorio che, prima di allora, era totalmente sprovvisto di una struttura di contrasto alla violenza sulle donne. “È una risorsa essenziale – afferma Elena – ma non solo in contesto vallare, in contesto italiano in generale, perché la violenza di genere sulle donne è un fenomeno che invade quotidianamente i nostri notiziari”. Dello stesso avviso anche Ilaria, che considera il Centro “una risorsa preziosissima che dovrebbe essere sponsorizzata dai canali mediatici molto più di quanto non lo sia ora”.

Perché rivolgersi ad un Centro piuttosto che, ad esempio, ad un ospedale o ai carabinieri? “La questione è che la violenza non assume soltanto la forma della percossa o dello stupro: in casi così estremi può avere senso presentarsi in pronto soccorso o chiamare un’ambulanza, ma la violenza segue sempre un processo di “escalation” di tensione che va sfociare nell’atto fisico soltanto nella fase conclusiva del cosiddetto ciclo della violenza” spiega Chiara. Il Centro esiste infatti per tutte quelle donne che si trovano “imprigionate” dall'amore per un marito, un fidanzato, un partner che le maltratta, ma di cui sono nonostante tutto innamorate e finiscono per perdonarlo di ogni sua azione. “La donna che va a cercare supporto ad un centro violenza, non ha bisogno soltanto di un aiuto immediato. Dal punto di vista fisico sicuramente sì, deve però poi seguire anche un percorso psicologico che la aiuti a distaccarsi mentalmente da quello che ha vissuto e capire che la responsabilità non è sua, ma del maltrattante. Capire che lei può aver commesso degli errori, ma quegli errori non vanno a giustificare quello che ha fatto lui.”

I dati Istat sulla violenza di genere sono poco rassicuranti: secondo le stime, nel 2014 il 31,5% delle donne in un raggio d'età fra i 16 e i 70 anni, ha subito nel corso della propria vita qualche forma di violenza fisica o sessuale: di queste, il 13,6% da parte del proprio partner o ex partner, mentre il 26,4% ha subito violenza psicologica ed economica dal partner attuale e il 46,1% da un ex. Dati allarmanti a cui le nostre due valli, nonostante il contesto “piccolo” confrontato a realtà più grandi, non sono immuni dal momento che in 10 mesi ben 20 donne si sono rivolte al Centro Antiviolenza Penelope, con un'età media di 37 anni per tutte le sedi e gli sportelli.

“Venti donne che si sono rivolte al centro per intraprendere un percorso di aiuto e supporto psicologico sono un numero rilevante, frutto di una richiesta finora rimasta latente e che ha finalmente trovato un servizio adeguato che le possa rispondere – commenta Sara – ma penso che questi dati abbiano alle spalle un numero oscuro enorme, data la difficoltà delle vittime a cercare aiuto per diverse variabili, fra cui lo stigma sociale”. Un servizio adeguato, dunque, ma forse ancora poco conosciuto a livello comunitario. “All’inizio mi sembrava un dato piuttosto positivo, 'solo' 20 richieste in 10 mesi, ma riflettendoci è molto probabile che sia perché il centro era appena stato aperto – commenta Elena – In effetti, le volontarie che tengono il corso ci hanno detto che in questi tre mesi del 2019, da gennaio a marzo, hanno avuto già praticamente il doppio di richieste rispetto all’anno scorso”. Dati, questi, che possono essere letti sia positivamente che negativamente, ma che celano in sé una stima di violenza di genere che nella realtà è drasticamente più alta, dal momento che non tutte le vittime scelgono di rivolgersi ad un Centro. “Sicuramente sapere che questa risorsa esiste e che altre donne sono a disposizione per dare una mano potrebbe aiutare queste persone a riprendere fiducia in loro stesse e riprendere in mano la loro vita” spiega Ilaria.

Quello promosso dal Centro Antiviolenza Penelope non è soltanto un corso per “imparare” la violenza sulle donne, ma vuole anche creare consapevolezza nei confronti di una tematica importante, che va approfondita per essere compresa in ogni suo aspetto e sfaccettatura. “Mi piacerebbe anche diventare operatrice presso il centro antiviolenza, perché ritengo necessario aiutare concretamente le donne che richiedono aiuto” afferma Sara. “Non sarò possibilitata a offrirmi come volontaria nell'immediato futuro per via un momentaneo trasferimento all'estero, ma quando tornerò in Italia mi piacerebbe assistere le donne in uno dei centri Penelope” aggiunge Ilaria. Un'esperienza che tutte le partecipanti porteranno con sé per tutta la vita, sia in ambito lavorativo che sociale che, perché no, anche nel proprio “piccolo”, anche solo per aiutare un'altra donna in difficoltà.

“Mi sarebbe piaciuto diventare volontaria per l’associazione Penelope, ma purtroppo ho accumulato più di tre ore di assenza al corso e quindi non potò ricevere l’attestato finale, che mi avrebbe permesso di diventare parte attiva del progetto – spiega Chiara – continuerò in ogni caso a impegnarmi per la causa facendo attivismo attraverso i social media e nella mia vita di tutti i giorni, affrontando pubblicamente queste tematiche e mettendoci la faccia dove necessario”.“Terminato il corso spero di poter aver materialmente tempo di fare volontariato, e spero anche di essere in grado da un punto di vista emotivo. In ogni caso, so che il corso che mi sarà utile anche in altri aspetti della mia vita” conclude Ilaria.

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