Quando mancare di rispetto portava a terribili conseguenze, anche dopo la morte

Si narra che un tempo chiunque osasse alzare le mani sui propri genitori o figure religiose, ne avrebbe pagato amaramente le conseguenze, anche dopo la morte.
5 Ottobre 2021

Si narra che, un tempo, chiunque osasse alzare le mani sui propri genitori o figure religiose, ne avrebbe pagato amaramente le conseguenze, anche dopo la morte. Fu questo il caso di una donna (ma alcuni pensano si trattasse invece di un uomo) originaria di un paese della Valle Brembana che in gioventù diede uno schiaffo alla propria madre.

L’atto scellerato generò nel cuore della donna un grave senso di colpa, che l’accompagnò in vita e perfino dopo la sua dipartita. Giunta alla fine dei suoi giorni, infatti, la donna venne sepolta al cimitero, ma nemmeno il silenzio del camposanto e la morte la aiutarono a trovare pace.

Fu così che un giorno alcune persone recatesi in visita ai propri cari defunti si accorsero che dalla tomba della donna spuntava un braccio con la mano aperta, rivolta verso il cielo. Nonostante i necrofori sistemarono il tutto, la raccapricciante scena si ripeté dopo alcuni giorni.

Fu allora che il parroco, ottenuta una speciale licenza dal vescovo, impartì alla defunta senza pace una particolare benedizione che finalmente le assicurò il riposo eterno. Storie di questo genere si possono riscontrare anche in altri luoghi della Bergamasca, come a Calusco.

Qui la storia riguarda un giovane annegato nel fiume Adda e sepolto nel cimitero del paese, che in vita aveva mancato di rispetto al padre colpendolo con un calcio. Anche in questa occasione dalla tomba del ragazzo spuntò un arto, questa volta la gamba destra “incriminata”, ma a differenza della donna dopo un paio di tentativi nessuno se ne preoccupò più e la gamba fu divorata dai cani.

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Un’altra storia simile parla di un parrocchiano che, durante un litigio con il parroco del paese, gli tirò un potente calcio. Allorché il sacerdote, attonito dal gesto, gli intimò di andarsene per sempre dal paese e di non farsi mai più vedere, a meno che non si fosse pentito del suo gesto e anticipandogli che avrebbe portato con sé il ricordo della sacrilega aggressione.

L’uomo fu costretto ad andarsene dal paese, dal momento che non era più ben accetto dai suoi concittadini. Ma dopo qualche giorno iniziò a subire i primi effetti di quanto professato dal parroco: la gamba che aveva sferrato il calcio iniziò a dolergli di un dolore sordo e persistente, insopportabile tanto da non lasciarlo in pace nemmeno un attimo. L’uomo arrivò al limite e comprese che quello si trattava del castigo che gli toccava per aver picchiato il prete.

Così decide di tornare al suo paese per implorarne il perdono, ma con profondo stupore apprese che lo stesso sacerdote era venuto a mancare qualche giorno prima, morto di crepacuore perché non fu in grado di superare l’umiliazione della percossa. Per questo motivo il colpevole non poté chiedere il perdono per il suo gesto e il dolore alla gamba proseguì fino a quando non morì anch’egli fra le più atroci sofferenze.

Esistono altre leggende come queste, narrate di generazione in generazione; tuttavia, come ogni leggenda che si rispetti, sono il frutto della fantasia dei genitori di un tempo, per spingere i propri figli a rispettare le figure adulte e religiose della comunità.

Tratto da Storie e leggende della Bergamasca di Wanda Taufer e Tarcisio Bottani – Ferrari, Clusone, 2001

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