Visini, il farmacista-missionario positivo al Covid in Africa (ma il test rapido era negativo…e ha continuato ad esserlo)

Negativo al test rapido, il farmacista, in missione in Nigeria per la terza volta, risulta positivo al Covid-19 dopo il test molecolare. ''Possiamo quindi affermare che i tamponi rapidi antigenici sono inutili e non efficaci?''
16 Ottobre 2021

Nuovo numero della rubrica dedicata alla salute a cura della Farmacia Visini di Almè. In questa nuova puntata il dott. Michele Visini racconta la sua terza esperienza come farmacista-missionario in Africa, complicata dal Covid-19

In questi ultimi due anni siamo stati subissati di articoli, dichiarazioni, testimonianze riguardanti la pandemia che stiamo vivendo….tutti o quasi, accreditati o meno che fossero a farlo, hanno scritto o parlato relativamente a questo argomento, ciascuno con la propria opinione, basata su esperienze, dirette o indirette, oppure su qualcosa di letto o sentito. L’hanno fatto in moltissimi e l’ho fatto anche io!

Ad inizio anno scrissi un lungo articolo in cui raccontavo la mia esperienza con il COVID, tanto di uomo quanto di professionista sanitario, raccontando il mio vissuto durante la prima violenta ondata ed esprimendo il mio punto di vista. Nel corso dei mesi, molte cose sono cambiate nella nostra vita quotidiana e nel nostro vissuto sociale, ma il leit-motiv di ogni nostra giornata resta la pandemia che stiamo tuttora vivendo. Molte cose sono cambiate….ma in sostanza la nostra vita gira ancora intorno alle stesse limitazioni: ci sono moltissime difficoltà per molte classi di lavoratori, non siamo tornati ad abbracciarci, non siamo tornati a vivere la vita sociale come prima, non abbiamo tolto gli schermi protettivi, non siamo tornati ancora a vederci in faccia senza la protezione delle mascherine, non siamo tornati a stringerci le mani…cosa è cambiato allora? Molto,.moltissimo, ma non tutto!! Forse qualcosa in più potrebbe cambiare: oggi vorrei condividere tutto quello che ho recentemente vissuto durante l’ultima missione umanitaria in Benin (Africa), e che, relativamente alla pandemia e ai suoi effetti, mi è accaduto. Come sempre la sola cosa che, a mio modo di vedere, conta davvero sono i fatti, la storia nuda e cruda, la sola cosa che non può essere contestata; allo stesso modo sono perfettamente consapevole che l’interpretazione che ne consegue richiede sempre necessariamente la scelta iniziale di decidere il punto di osservazione a partire dal quale si osservano i fatti accaduti…in altre parole, prendendo in prestito un verso di una canzone scritta anni fa, “dipende, da che punto guardi il mondo tutto dipende”.

E allora partiamo proprio da quanto accaduto! Il 24 settembre scorso sono partito alla volta del Benin per raggiungere, in ritardo di due giorni, gli altri volontari partecipanti a una missione umanitaria con la fondazione Time4Life, la mia terza in questa terra d’Africa negli ultimi 12 mesi; una missione, nelle intenzioni e nei programmi, più breve delle precedenti a causa di impedimenti familiari che mi hanno indotto a ritardare la partenza, una missione utile però a gettare le basi per progetti da poter poi rivalutare e correggere in viaggi successivi. Come spesso accade, tuttavia, i programmi sono stati stravolti dagli imprevisti, e così quella che doveva essere una missione breve, si è tramutata in una lunga permanenza in terra beninese a causa…del Covid.

Il tampone molecolare (si ponga attenzione alla natura dell’esame eseguito!) cui sono stato sottoposto, come tutti coloro che atterrano all’aeroporto di Cotonou, al momento del mio arrivo è risultato positivo, ma questo esito mi è stato comunicato (lacuna gravissima ai fini della logica di sorveglianza e prevenzione sottesa a tutto quanto il procedimento) solamente alcuni giorni dopo, quando, insieme ad altri volontari, sono ritornato al Centre de Surveillance Sanitaire du Benin a Cotonou per sottopormi, come richiesto da normativa, ad un nuovo tampone (sempre molecolare) necessario ad ottenere il visto per poter ripartire, di lì a due giorni, per far ritorno a casa. L’esito positivo del tampone precedente ha bloccato nel sistema il mio nominativo, per cui non mi era possibile eseguire un nuovo esame fino al termine del periodo di quarantena prescritto…soprattutto, a quel punto, mi veniva preclusa la possibilità di imbarcarmi sul volo di ritorno previsto.

Dopo il primo momento di smarrimento, con gli altri volontari sono tornato all’alloggio che ci ospitava, ad un’ora e mezza circa dalla capitale (nessuno mi ha chiesto dove fossi diretto né dove o come avrei osservato la quarantena prescritta….altro buco di sceneggiatura in un sistema solo in apparenza attento ma di fatto lacunoso in molte sue parti). Qui mi sono autosottoposto ad un tampone antigenico di controllo (il cosiddetto “rapido”), ovvero la tipologia di test che io stesso eseguo quotidianamente in farmacia e cui diverse volte, non ultime nei giorni immediatamente precedenti alla partenza, mi sono sottoposto per autocontrollo. Esito? Negativo, esattamente come riscontrato prima di partire!! Il giorno successivo, altro tampone, sempre antigenico, e altro esito negativo. Il giorno seguente ancora, terzo tampone e terzo esito chiaramente negativo! Per non correre il rischio di un esito falsato, susseguente a procedura non idonea, mi sono auto sottoposto ad un campionamento del materiale biologico da analizzare per via rino-farinfaringea molto accurato e molto invasivo. Dovevo evitare qualsiasi errore procedurale se volevo richiedere una verifica dell’esame condotto al mio arrivo, contestandone la validità! Ero infatti ormai sempre più convinto di essere stato vittima di un errore, non importa se da scambio di provette o erronea esecuzione. Sulle differenze tra i due tipi di tamponi non entrerò nel dettaglio in questa sede: mi limito a ricordare che, in base alle linee guida, è contemplato un ritardo di positivizzazione del tampone antigenico, rispetto al tampone molecolare, di circa 72 ore. In altre parole, se il tampone molecolare, grazie anche ai cicli di amplificazione cui il campione prelevato viene sottoposto, può risultare positivo molto precocemente rispetto al momento del contagio, il tampone antigenico richiede un tempo di incubazione e di replicazione del virus nelle mucose per raggiungere concentrazioni più elevate, al di sopra della soglia di rilevabilità del test: tale tempo è di norma stabilito in circa 3-4 giorni. Tempo che nel mio caso era ampiamente trascorso, posto che è tutto da dimostrare che il contagio sia avvenuto effettivamente nel giorno in cui è stato eseguito il primo esame risultato positivo.

Forte di questi elementi, grazie all’aiuto del direttore di Regard Fraternel, ONG beninese con cui Time4Life collabora, ho ottenuto di poter eseguire, privatamente e ovviamente a pagamento in una clinica universitaria, un Control Covid Test, ossia un doppio tampone molecolare di verifica (un diverso prelievo per ciascuna narice, ognuno dei quali processato separatamente): nelle previsioni, tale test sarebbe dovuto risultare negativo e avrebbe dovuto consentirmi di recarmi di nuovo a Cotonou per richiedere un nuovo test per poter ripartire dal Benin. Invece, come avrete a questo punto intuito, il Control Covid Test ha dato esito positivo. Avevo effettivamente contratto nuovamente l’infezione da Covid. Sì, perché anche io, come migliaia e migliaia di italiani, ho vissuto sulla mia pelle gli effetti della prima ondata della primavera del 2020. A questo si è aggiunta la notizia che anche un’altra compagna di missione (la sola del gruppo di Dangbo, sede del nostro alloggio, non vaccinata), risultata negativa al primo test all’arrivo, era invece risultata positiva al secondo test, quello condotto prima di partire, successivo alla convivenza con me e con gli altri volontari durante i primi giorni di missione, vissuti da tutti noi in modo libero e spontaneo.

Sono stato io a contagiarla? Non lo sapremo mai con certezza, ma le probabilità, anche alla luce di quanto successivamente accaduto e delle considerazioni che faremo in seguito, sono molto alte. Nessun altro dei partecipanti alla missione è risultato aver contratto il Covid, così come confermato dai tamponi molecolari di controllo eseguiti da ciascuno al rientro in Italia dopo adeguato periodo di quarantena. Il resto è storia, storia di una settimana vissuta in un alloggio diverso, in attesa di una negativizzazione che per nostra fortuna non ha tardato ad arrivare! Sintomi? Poco o nulla….per entrambi un pochino di stanchezza e un minimo di rialzo termico che mai ha superato i 37 gradi, il tutto per due tre giorni. Fino a qui i fatti: mi sono dilungato perché fosse chiaro quanto accaduto, soprattutto in un periodo come questo in cui moltissimi elementi rischiano di essere fraintesi, mal interpretati e in taluni casi persino strumentalizzati se non espressi in modo preciso e lineare.

 

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Le considerazioni che seguiranno saranno ovviamente puramente personali: mi assumo in prima persona la responsabilità di ciò che scriverò.

Quanto accaduto consente, a mio avviso, di provare a delineare alcune ipotesi sia per quanto concerne la spinosa questione della tracciabilità dei contagi, sia per quanto attiene all’ancor più complicato dibattito sui vaccini.

I CONTAGI SONO TRACCIABILI? POSSIAMO CONVIVERE CON QUESTO VIRUS?

Chi mi conosce e ha avuto modo di affrontare con me questo argomento, sa che fin dal principio ho sempre ritenuto impossibile mettere in atto un realisitico piano di ricerca e tracciamento dei contagi e delle persone infette (i “positivi”), dal momento che già a partire dalla fine della prima settimana di questo assurdo incubo dentro cui siamo sprofondati fu chiaro che una larga percentuale di coloro che erano risultati positivi al tampone presentavano una sintomatologia tanto lieve da non far nemmeno sollevare il sospetto di un possibile contagio….tanto lieve da essere virtualmente asintomatica, e per questo non rintracciabile. Ovviamente, soprattutto nella prima fase della pandemia, ed in particolare nella nostra provincia, non è stato affatto così per tutti, anzi; tuttavia anche qui e anche in quel periodo moltissime persone si sono rese conto di aver contratto l’infezione solo molto tempo dopo, sottoponendosi a test sierologici. Questo cosa significa? Significa che da sempre sappiamo che moltissime persone, del tutto inconsapevolmente, sono destinate a sfuggire alle ricerche (i tamponi) condotte seguendo criteri mirati in base a sintomi, presunti cluster, contatti e contagi. Oggi viviamo un periodo storico di questa pandemia in cui la virulenza del COVID è (non sappiamo se il trend proseguirà, ma oggi questa è la realtà) piuttosto attenuata, forse anche in conseguenza di una riduzione della carica virale media : questo dato è ciò che ci si attendeva ed è del tutto coerente in una società in cui il livello di anticorpi, indotti da infezione pregressa o da vaccinazione, si è notevolmente alzato e riguarda, oggi, una larghissima fetta di popolazione. Non abbiamo certezze, ma è verosimile pensare che oggi, mentre scrivo, all’inizio dell’autunno, gli effetti contenuti in termini di accessi in pronto soccorso, di ricoveri in terapia intensiva, di decessi indotti in modo diretto da infezione da Covid ma anche di morbilità sul territorio (il territorio fuori dai centri ospedalieri rappresenta il sommerso dell’iceberg ma ne costituisce una enorme parte) possano essere la risultante della triangolazione di tre elementi: gli effetti dei mesi caldi, l’aumento delle persone con adeguata dotazione di anticorpi e le mutazioni del virus che via via si sta dimostrando più infettivo e meno virulento (dato, questo, coerente con la storia passata e con l’adattamento del virus all’ambiente circostante). L’arrivo della stagione fredda potrà darci sicuramente qualche conferma in più.

Queste considerazioni potrebbero avere attinenza con quanto ho avuto modo di sperimentare nelle scorse settimane? Potrebbero essere queste le spiegazioni del fallimento dei tamponi antigenici cui mi sono sottoposto, risultando invece positivo a quelli molecolari? Possiamo per questo affermare che i tamponi rapidi antigenici sono inutili e non efficaci?

Queste domande mi si sono affollate nella mente all’indomani della scoperta che il primo esito positivo non era un errore bensì la realtà. Molte delle convinzioni che avevo avuto fino a quel momento dovevano essere riviste! Sì, perché il buon senso deve sempre indurci ad essere disposti a cambiare idea se le evidenze della realtà ribaltano le nostre convinzioni. Non ho certezze, ovviamente, ma personalmente credo che la fallibilità del tampone antigenico (posto che venga eseguito in modo accurato….ma questo dobbiamo darlo per scontato) sia inversamente proporzionale alla carica virale dell’individuo testato: tanto più bassa la carica, tanto maggiore la probabilità che il test risulti falsamente negativo, e come tale non attendibile! Nel mio caso, per una serie di motivi che andrò ad elencare, credo sia successo esattamente questo:

  • a livello di sintomi non ho avvertito praticamente nulla (e la mia personale prima esperienza con l’infezione da Covid è stata tutto tranne che leggera! Quindi non sono tra quei soggetti che, per motivi ancora da comprendere appieno, non rispondono in modo marcato all’infezione) e mi sono abbastanza rapidamente negativizzato
  • non ho infettato le persone vaccinate che hanno vissuto a stretto contatto con me in quei giorni, soprattutto le persone che hanno dormito con me: come detto prima, tutti si sono sottoposti a tampone molecolare dopo adeguato periodo di quarantena al rientro in Italia e tutti sono risultati negativi
  • ho trasmesso l’infezione (non ho certezze di essere io il responsabile, ma gli indizi vanno tutti in questa direzione) alla sola persona non vaccinata del gruppo che ha condiviso i miei stessi spazi, ma, come detto, anche lei non ha fortunatamente dovuto sopportare sintomi particolari e si è rapidamente negativizzata

Posso essere del tutto certo di quello che sto scrivendo? NO, ovviamente no, però tutti gli indizi vanno in questa direzione. A questo punto, a cosa ci portano questi elementi e queste considerazioni?

Proviamo a questo punto a delineare qualche ipotesi conclusiva.

Se i tamponi antigenici cui mi sono sottoposto, anche dopo 5 giorni dalla prima comprovata positività, hanno continuato a risultare chiaramente negativi, ciò significa che se non fossi stato in un paese dove vige l’obbligo di sottoporsi a tampone molecolare al momento dell’arrivo, avrei potuto liberamente circolare, ignaro di essere positivo e infettivo. Questo non implica assolutamente che i tamponi antigenici siano una “bufala”!!! Dal momento però che sono stati validati e testati in un periodo in cui, in assenza di vaccini, la carica virale media circolante era più alta, potrebbe essere verosimile che il margine di errore fosse, a suo tempo, molto molto più basso, mentre ora, in presenza di un elevatissimo numero di persone vaccinate (ossia di individui in cui il ciclo di replicazione del virus è ridotto e ostacolato), sia più probabile che individui positivi con carica virale bassa possano sfuggire ai test. Posso sbagliare, ma personalmente penso infatti possa essere più un problema di soglia di rilevabilità (sensibilità) che di specificità, legato a possibili varianti (le quali, oltre che ai tamponi, potrebbero sfuggire anche alla batteria di anticorpi con cui tutti noi possiamo tentare di difenderci!!!). E’ verosimile pensare che il mio possa essere stato un caso eccezionale? Io credo di no. Stimare quanto diffuso possa essere un caso come il mio è virtualmente impossibile.

Questo ci porta a una serie di domande cui non penso sia davvero possibile dare una risposta: alla luce di quanto accaduto a me, quanti altri individui “positivi” potrebbero esserci oggi in circolazione, del tutto ignari, in buona salute e virtualmente irrintracciabili? Quanto verosimile può dirsi, oggi, alla luce di queste considerazioni, la cosiddetta curva dei contagi, posto che, per questioni di ordine pratico, una percentuale elevatissima dei test eseguiti quotidianamente in Italia è costituita dai tamponi rapidi antigenici? Potrebbe essere ragionevole dire che, semplicemente, il grado di attendibilità della conta dei contagi (e mi riferisco alla pura e semplice conta, con relativo grado di incidenza percentuale) non possa dirsi né alto né basso, ma puramente non stimabile?

Io non credo che accettare di non poter dare una risposta a queste domande possa essere qualcosa di cui dobbiamo avere timore, né che questo implichi che la luce in fondo al tunnel si faccia più fioca e lontana…..anzi! Credo fermamente che si debba rinunciare a porsi la domanda su quanti siano quotidianamente i cosiddetti “nuovi casi”, così come si debba accettare di abbandonare definitivamente la conta progressiva che ci accompagna fin dai primi giorni della scorsa primavera. Stimare questi numeri in modo adeguato credo sia un’utopia, ma altrettanto credo che rinunciarvi non sia affatto una sconfitta, bensì un cambio di rotta forse più produttivo! Credo fermamente che l’obiettivo debba essere quello di creare una società in cui l’impatto della presenza del COVID in termini “sanitari” possa essere accettabile. Credo che ognuno di noi debba fare la sua parte per rendere il livello della gravità delle conseguenze di una eventuale infezione più leggero e sostenibile possibile, circoscrivendo sempre più il numero di coloro (che comunque sempre esisteranno) che presenteranno una sintomatologia importante. Tutto questo credo debba passare attraverso una globale attenuazione non tanto della trasmissione del virus (troppo difficile tracciarlo….) quanto del suo grado di virulenza. Non ho certezze, ma l’esperienza che ho vissuto e le considerazioni che ne ho tratto, mi inducono oggi più che mai a pensare che la miglior via per noi perseguibile sia quella di rendere quanta più gente possibile dotata degli strumenti per ostacolare la replicazione e la proliferazione del virus all’interno del nostro organismo: gli anticorpi. Serve per questo accettare il rischio di una vaccinazione di cui sappiamo molto ma non sappiamo tutto? E’ sicuramente una ipotesi, e personalmente, consapevole del fatto che sostenendolo non incontrerò l’approvazione e nemmeno la condivisione di tutti, e consapevole del fatto che gli effetti nel lungo periodo non li possiamo conoscere appieno, credo sia la miglior via a nostra disposizione. Alla luce dei fatti, ossia di quanto vissuto, narrato, ripensato e rielaborato sulla base delle mie competenze e di quanto nei mesi ho potuto raccogliere!

Resta un’ultimo quesito, più che mai attuale in questo periodo: ha senso continuare a fare tutti questi tamponi rapidi antigenici? La risposta migliore credo possa essere: DIPENDE! Dipende dal motivo per cui li vogliamo fare e dal target che ci si pone; SE infatti accettiamo l’idea di poter intercettare molto ma non tutto, SE a monte della fallibilità può esserci realmente un problema di sensibilità forse legato al livello della carica virale, e SE l’obiettivo che ci si pone con l’allargamento della campagna vaccinale può essere davvero di abbassare la virulenza e la carica virale (e non perseguire un’immunità assoluta che ad oggi non sembra poter essere un obiettivo realistico), allora tutti i tamponi antigenici che si eseguono possono avere l’obiettivo di fungere da primo livello di screening, al fine di intercettare ed isolare tutti coloro che, positivi con un livello di carica virale presumibilmente elevato, possono costituire una fonte di propagazione del contagio più pericolosa, per sé stessi e per il resto della società.

 

 

 

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