”Mia mamma, medico di base a S.Giovanni positiva al Covid: noi abbandonate da tutti”

Lettera aperta di Elenia Camerini, figlia della dottoressa Casesa, medico di base a San Giovanni Bianco e positiva al coronavirus.
14 Aprile 2020

I medici di base, insieme ai colleghi in ospedale, sono stati fra i più colpiti dal crescente numero di contagi da coronavirus, non solo a livello professionale ma, soprattutto, dal punto di vista della salute. Sono centinaia i decessi e migliaia i dottori di famiglia, infatti, che hanno contratto il Covid-19 mentre si occupavano di visitare e cercare una cura per i propri pazienti.

La Valle Brembana non è esclusa: Elenia Camerini è figlia della dottoressa Antonina Casesa, medico di base a San Giovanni Bianco, positiva al Sars Cov-2. In questa lettera aperta, ha deciso di raccontare la loro lunga e dura battaglia.

“Mi chiamo Elenia Camerini e vivo con mia madre e mio fratello in provincia di Bergamo. Mia madre è positiva al Sars-Cov-2 ed è un medico di base a San Giovanni Bianco. Vorrei raccontare la mia esperienza di queste settimane, in primis da figlia, ma anche e soprattutto da comune cittadina. A Bergamo la gravità della situazione ha iniziato a farsi sentire già dal 24 febbraio. Mia madre si è recata tutti i giorni in ambulatorio, ha effettuato visite a domicilio ai pazienti gravi e ha fatto entrare in ambulatorio solo i pazienti che non presentavano sintomi febbrili, ma che comunque avevano bisogno di una visita. L’ordinanza della Regione Lombardia infatti era quella di far accedere solo su appuntamento i pazienti, per evitare assembramenti. Ebbe dei decessi, anche di persone giovani, Covid positivi, e fece loro il certificato di morte. Aveva molti pazienti positivi. Continuò a fare il suo lavoro, senza uno straccio di DPI”.

“L’ATS di Bergamo infatti le consegnò solo 8 mascherine chirurgiche e 2 pacchi di guanti monouso. In autonomia riuscì a comprare 1 mascherina con filtro FFP3 e 1 tuta monouso. Avevo l’ansia ogni volta che usciva di casa per andare a lavorare. Sapevo che il rischio di ammalarsi per lei era altissimo. Usciva di casa alle 7:30 e faceva rientro alle 20:00, se andava bene. Mi misi a contare il numero di chiamate che riceveva: una media di 150 chiamate e di 40 sms, al giorno. Aggiungiamo ovviamente le visite in ambulatorio e al domicilio. Era stremata. Non solo fisicamente, ma soprattutto psicologicamente”.

“Piangeva per la morte dei suoi assistiti, che morivano come mosche, in pochi giorni la loro condizione si aggravava e lei non poteva fare niente. Era straziante vedere mia mamma così. È una donna forte, che ne ha viste tante durante la sua carriera professionale, ma non l’avevo mai vista piangere in quel modo per il suo lavoro. Eppure c’è stata gente che in questo periodo di emergenza ha anche avuto il coraggio di cambiarla, e di passare a un altro medico perché mia madre non rispondeva subito alle telefonate. Queste vili persone dovrebbero solo che vergognarsi”.

“Ma comunque, mia mamma ha continuato a fare quello che fa da 31 anni, e cioè curare e salvare vite. Poi però, la mia paura si è realizzata. Il 14 marzo mia madre inizia a stare male. Da lì inizia il nostro incubo ad occhi aperti. Si susseguono: febbre a 39, tosse, mal di testa, dissenteria, nausea, vomito, astenia. In queste settimane ho chiamato 2 volte il 112, la prima volta quando mia madre è svenuta tra le mie braccia, e la seconda quando era in uno stato sem-icomatoso e di semi-incoscienza. E qui viene “il bello”. Entrambe le volte mi sono sentita dire: “FINCHÉ RESPIRA NON VENIAMO, LA TENGA MONITORATA”. Io sono traumatizzata. Queste frasi rimbombano nella mia testa ancora oggi. In entrambe le occasioni ho successivamente chiamato la guardia medica, la prima volta mi sono sentita dire “Non vengo, sua madre è medico e può capire da sola la situazione”. Ancora una volta io restai basita”.

“In quel momento misi in atto le manovre che imparai al corso di primo soccorso della Croce Rossa Italiana, grazie a questo e alla mia lucidità, mia madre si è ripresa. Ho poi chiamato il suo medico di base, che ha prontamente attivato una ADI, e nel giro di un’ora un infermiere che ringrazierò sempre ha messo la fleboclisi a mia madre, salvandole la vita. Era talmente disidratata che ha dovuto mettere l ’ago in pancia, non aveva neanche le vene del braccio. La seconda volta invece capii che c’era qualcosa che non andava perché mia madre dormiva sempre, era sempre addormentata. Non rispondeva subito alle mie domande e faceva fatica a ricordare alcuni episodi. Anche in questo caso dopo la risposta negativa del 112 chiamai la guardia medica. Inizialmente la dottoressa negò la visita, ma poi fortunatamente, mandò una sua collega a casa, senza preavviso. (Io credo che la dottoressa avesse percepito che qualcosa non andava, infatti mi disse al telefono che se la mamma non mi rispondeva più dovevo caricarla in macchina e portarla al pronto soccorso, perché lei temeva un danno neurologico)”.

“Mia zia da Catania ha chiamato il numero verde Covid della Regione Lombardia, chiedendo disperatamente una visita per sua sorella. Alla fine la dottoressa è venuta. Diagnosi: polmonite. Grazie alla ADI ogni giorno veniva un’infermiera a mettere la flebo e a controllare i parametri vitali. La saturazione a volte scendeva a 94, e so per certo che con questo valore in una situazione di normalità le avrebbero messo l’ossigeno, ma in questo caso no. Ossigeno negato perché “finché non scende sotto i 90 va bene”. Ma sappiamo tutti che la verità è che ossigeno non ce n’è e si dà la priorità a chi ha i valori più bassi. Come se fosse una gara tra chi sta peggio. Disgustoso”.

“I giorni passavano e io mi sono re-inventata infermiera, attaccando e staccando la flebo quando la mamma si alzava per andare in bagno, controllando sempre la saturazione, la temperatura, la pressione. Dandole le medicine e il cibo. Insomma mia madre non era in ospedale, ma in pratica era come se lo fosse. Era ricoverata a casa. Non dormivo più, la paura che potesse non respirare mi stava mangiando viva. In tutto ciò, mi sono anche re-inventata segretaria. Sì, perché ho dovuto sbrigare tutte quelle questioni lavorative che mia madre non poteva svolgere. In primis chiamai ATS Bergamo per farle fare un tampone, che è stato fatto il giorno 17 marzo. Chiesi anche un tampone per me e mio fratello, risposta: “Tanto ormai il virus ce l’avete in casa, cosa ve lo facciamo a fare”. Però a tutti quei politici e a quei VIP i tamponi li hanno fatti. Anche se asintomatici. Anche se avevano avuto anche solo un contatto di 5 minuti con un positivo. E a noi comuni mortali, niente. A noi che condividiamo la stessa casa, niente”.

““Disinfettate tutto, statele lontano”. Ma come posso stare lontano da mia madre che sviene? Come posso stare lontano da mia madre che non si può muovere da sola da quanto è debole?! Sono basita e arrabbiata. Ho dovuto combattere, e combatto ancora oggi, contro i mulini a vento, contro i “piani alti”. In data 27 marzo ricevetti una chiamata da ATS Bergamo, la segretaria che mi parlò era arrabbiata, perché non c’era un sostituto per la mamma. Pretendeva che mia mamma le parlasse al telefono. Fece intendere che mia mamma avesse abbandonato i suoi assistiti, fregandosene di loro. Lì sono scoppiata. E ho detto a questa persona che se mia mamma era in quelle condizioni, a letto, ammalata, positiva, con la polmonite, senza forze nemmeno per parlare con me, era tutta colpa loro. Era colpa di ATS Bergamo. Perché mia madre aveva lavorato fino all’ultimo, senza neanche i DPI idonei, perché ATS non glieli aveva forniti”.

“Dopo questo mio attacco mi è stata mandata una mail con gli auguri di pronta guarigione per la mamma. Roba da non credere. In data 31 marzo ricevo delle lamentele da parte di alcuni cittadini riguardo al fatto che mia madre non fosse a lavorare, e successivamente ho avuto un colloquio telefonico con il Sindaco di San Giovanni Bianco, il quale sosteneva che non sapeva che mia madre era ammalata e si domandava dove fosse e come mai non era stato messo un sostituto. Spiegai al Sindaco che mia madre non era certo in vacanza, che non era in grado di parlare, che non aveva le forze di fare niente, e che se lui voleva qualche spiegazione doveva parlare con ATS. E gli dissi anche che ATS aveva fornito una guardia medica diurna speciale proprio per i pazienti dei medici in malattia, e quindi anche per quelli di mia mamma”.

“Non ho ricevuto nessuna risposta da parte sua. Comunque sia, mi sono rimboccata le maniche, e ho trovato il sostituto alla mamma. E l’ho anche comunicato al Sindaco via e-mail.Anche in questo caso, nessuna risposta. Non che me l’aspettassi, in verità. Nel frattempo il quadro clinico di mia madre si è stabilizzato, la saturazione è aumentata, non è ottimale, ma ci accontentiamo; la febbre è scesa. Certo, la polmonite rimane, così come la tosse e l’astenia. Ma a sentire i Dottori ci vorrà molto tempo prima che svaniscano del tutto. Ah, ovviamente da quando è stata fatta diagnosi di polmonite non è più venuto nessuno a visitarle i polmoni, non sappiamo a che punto sia la polmonite, non sappiamo un bel niente. Ci dobbiamo basare sul respiro, sulla saturazione e sul fatto che “si può visitare da sola”…Certo è che la nostra storia è solo una goccia in mezzo a questo mare, come noi ci sono tante famiglie che vivono questo incubo. E noi siamo fortunati. Perché mia madre non si è aggravata. Perché sono stata lucida nel momento del bisogno. Perché conosco le manovre salvavita. Ringrazierò per sempre la Croce Rossa perché dà l’opportunità di seguire i corsi di primo soccorso”.

“Tante persone sono morte in casa, aspettando che la situazione migliorasse, monitorando la situazione da soli. E ATS continua imperterrito a consegnare mascherine non omologate ai medici di base, che rischiano di essere denunciati dai pazienti se non vanno a visitarli. Ma come puoi mandare un medico sul territorio con una cavolo di mascherina di stoffa?! Però poi accendi la tv e vedi che fanno le conferenze stampa, e vedi che si vantano di distribuire i DPI, che adesso faranno i tamponi a tutti. Specchietti per le allodole, a parer mio. La verità è che da figlia mi sono ritrovata a dover combattere non solo con questo virus, con la malattia di mia mamma, ma anche con chi sta seduto al sicuro sulla poltrona negli uffici della Regione e della Provincia”.

“Invece di concentrarmi al 100% sulla salute di mia mamma ho dovuto dividere le mie energie e usarle un po’per curare mia mamma e un po’ per parlare e scrivere con queste persone. Queste persone non sanno cosa vuol dire sentirsi dire “Finché respira non veniamo”, non sanno cosa vuol dire sentirsi totalmente abbandonati da tutti. Io non dimentico, e farò tutto quanto in mio potere per far emergere la verità. Che è questa. E non quella che dicono loro. E le persone devono sapere”.

“Aggiungo anche che ATS dovrebbe ringraziarmi per quello che ho fatto, perché sono stata collaborativa. Perché io le proposte gliele ho fatte: ho proposto di attivare una guardia medica speciale a San Giovanni Bianco, gli ho proposto di contattare loro il sostituto e di mettersi d’accordo loro con lui, e di procurargli un luogo dove poter appoggiarsi per lavorare. Ho poi scoperto che anche il Sindaco gli aveva proposto questa soluzione, mettendo a disposizione ambienti comunali. Ma niente da fare. Hanno insistito tartassandomi di telefonate. Non hanno avuto rispetto della malattia di mia madre e del mio dolore. Non era compito mio fare tutto quello che ho fatto. Chiamare il sostituto, avvisare sindaci… Era compito loro. Non mio. L’ho fatto per il bene di mia mamma. Perché so quanto ci tiene ai suoi assistiti”.

“Ovviamente qui con me a casa ho le prove delle condizioni di salute di mia madre, e le prove delle e-mail mandate con la mia PEC. Per quanto riguarda le chiamate a 112 e guardia medica non ho le registrazioni, ma so che tutte queste chiamate vengono comunque registrate. Voglio specificare chiaramente che non me la prendo con gli operatori del 112, perché se mi hanno risposto in quel modo vuol dire che hanno ricevuto direttive dai “piani alti”di fare così. Per le chiamate con ATS non ho le registrazioni, hosolo il registro delle chiamate sul mio cellulare e le varie mail, ma francamente non ho motivo di inventarmi nulla, non ho nulla da guadagnare a raccontare la mia esperienza, anzi”.

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