Le ”calchere”, testimonianza unica dell’ingegno edilizio dei nostri avi

Fra le testimonianze dell'edilizia “spartana” e dell'ingegno – anche in mancanza di risorse – lasciate dai nostri avi, ci sono quelle che venivano chiamate le “calchere”, una sorta di forno all'aperto utilizzate soprattutto per la produzione della calce.
16 Settembre 2021

Fra le testimonianze dell’edilizia “spartana” e dell’ingegno – anche in mancanza di risorse – lasciate dai nostri avi, ci sono quelle che venivano chiamate le “calchere”, una sorta di forno all’aperto utilizzate soprattutto per la produzione della calce, importantissimo materiale sfruttato per la realizzazione degli edifici di un tempo.

Le Prealpi Orobiche, ma soprattutto le valli bergamasche, pullulano di queste antiche costruzioni – ora per la maggior parte in rovina: se ne possono incontrare in ogni dove, lungo il periplo del Monte Resegone, fra i boschi della “Valle delle Calchere” in Val Brembilla oppure sul Monte Disner, in Valle Brembana.

Ma come sono fatte e come funzionavano le calchere? Riconoscerle è facile: si tratta di costruzioni circolari con base dal diametro che va dai 2 ai 3 metri, in parte scavate nel terreno. Il segno più distintivo sono i blocchi di pietra bianchi che rivestivano tutto attorno la circonferenza della calchera. L’antica fornace veniva riempita dai calcher (coloro che si occupavano del mestiere) di pietre calcaree di diverse dimensioni, coperte da terra bagnata e fogliame.

Sul fondo si trovava la camera di combustione, una piccola struttura circolare dove veniva acceso il fuoco di cottura, che doveva necessariamente essere mantenuto vivo per diverso tempo, sfruttando quindi enormi quantità di risorse legnose. La temperatura raggiunta all’interno dei forni (fra gli 800° ai 1000°) permetteva le decomposizione delle rocce e dunque la produzione della calce viva che, una volta estratta dalla calchera, veniva bagnata con dell’acqua. Si innescava così una reazione chimica, che permetteva di ottenere il “grassello di calce” con cui poi si preparava la malta.

In ogni paese dove erano presenti rocce sedimentarie carbonatiche, la vera e propria materia prima, era presente almeno una calchera per l’utilizzo locale. Fino agli inizi del Novecento, soprattutto nelle zone particolarmente rurali, ancora se ne faceva uso: sebbene fosse dispendioso soprattutto in termini di tempo, il motivo era legato con molta probabilità alla facile reperibilità dei materiali e alla necessità di realizzare strutture in loco, annullando di fatto la fatica di trasporto del materiale in zone più disagiate.

Nonostante ciò, ben presto le calchere furono abbandonate definitivamente a favore di fornaci più efficienti, che migliorarono sensibilmente la qualità della calce prodotta. Oggi di quella “arte edilizia” di un tempo non restano altro che macerie (gran parte dei sassi di sostegno sono stati prelevati successivamente per la realizzazione di stalle nei dintorni) e poche sono le calchere ancora ben conservate.

(Fonti: blog.italcementi.it / visitbrembo.it | Fonte immagine in evidenza: visitbrembo.it)

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