Le guerre dei Celti capitolo 5

Romanzo storico che ha l'intento di narrare la storia del nostro territorio facendola rientrare nella Grande Storia, nel periodo delle guerre puniche.
29 Febbraio 2020

Quinta puntata del racconto “Le guerre dei Celti”. Un piccolo romanzo storico che ha l'intento di narrare la storia del nostro territorio facendola rientrare nella Grande Storia. Come già fatto con le guerre persiane anche con questi racconti celtici andremo a raccontare le guerre puniche per parlare dei Celti che hanno abitato e vissuto sul nostro territorio, lasciando il segno della loro cultura. 

 (PER LEGGERE CAPITOLI PRECEDENTI: capitolo 1 – capitolo 2 – capitolo 3 – capitolo 4)

CAPITOLO 5 – Furore gallico ed orgoglio celtico

Così parlò Belenos il vegliardo druido custode della Grotta-Santuario , leggendo assorto la visione nello strato biancastro della “sacra stele di pietra “ ,grande stalattite di acque sotterranee.

-“ O venerato druido Belenos,- e mio“grande-tàta” osservò Lug- di antiche e gloriose vicende , che ci affascinano e ci preparano alla nostra impresa, ci stai narrando e con potere misterioso leggi negli strati della Grande Stalattite, che divinità mitologiche eressero in questa grande e sotterranea grotta, antro sacro di acque e di rocce , ma dicci perché in questa stele distingui strati diversi e leggi parole nel narrare gli eventi come segnati ed incisi nei risvolti della pietra ?” . – “Per mano degli dei , che la Natura governano, mio giovane vanto, le acque che sono sopra il cielo vedono ogni cosa che accade, e ne racchiudono la visione e la memoria nelle infinite loro gocce, che cadendo come pioggia e penetrando la terra depositano nel calcare, in forma e traccia perenne ,la memoria e lo stampo di quegli avvenimenti. Ecco dunque, come ora nello strato diafano e striato di questa stele ho visto racchiusa l’avventura dei Galli di Brenno vincitori presso il fiume Allia, così in questo più fosco ed oscuro strato vedo e vi narro, con parole raccolte nella memoria perenne dell’acqua e della pietra prima che nella memoria del racconto e della narrazione degli uomini, vedo e vi narro con episodi di terrore e di paura dello spegnersi della virtù e del valore dei guerrieri celti nella battaglia di Sentino,.

A Sentino sul versante orientale dell’Appennino, ove ora anche voi vi apprestate a raggiungere l’armata di Annibale, le legioni romane si scontrarono con un coalizione di popoli italici , Sanniti, Etruschi,Lucani Umbri ed appunto Celti per i romani certamente i più temuti… Terrore e spavento si impossessarono dei guerrieri quando l’attacco della cavalleria romana, gettata dal giovane console Decimo Mure contro la cavalleria celtica ne venne respinta dalla paura “ Tutto ad un tratto infatti su carri e carrette da guerra i celti si precipitarono avanti, con un tale frastuono di cavalli e di ruote, che i cavalli romani a tale frastuono si imbizzarrirono , i cavalieri si dispersero storditi e le punte attaccanti galliche non diedero loro il tempo di riprendersi”. Ma l’esito della dura battaglia fu stravolto e deciso da un episodio misterioso e tragico, quando Decimo Mure, dopo aver comandato al sommo sacerdote di dargli la consacrazione funebre, con cerimonia di sacerdoti officianti, e fatte pronunciare tutte le formule necessarie, aggiunse queste parole perché risuonassero per tutto il campo di battaglia: -“Paura e dannazione, delitto e sangue ,la collera degli dei celesti ed inferi io invoco, e porto meco la condanna allo stermino delle armi e delle insegne dei nemici, la rovina colga insieme con me galli e sanniti!” -Poi spinse il cavallo tra le file dei celti e sulle loro armi dirette contro il suo corpo trovò la morte . Il Suo olocausto ebbe mirabile effetto . “ I Galli smarriti presero a scagliare a caso le frecce ,che più non colpivano; altri si arrestarono impietriti , senza nè combattere, né fuggire e contro i giavellotti scagliati dai romani molti caddero senza ferite a terra ,come storditi “ Dal canto loro i sanniti ,visto lo spettacolo, presero la fuga e il resto dei celti paralizzati venne massacrato . Roma vinse la battaglia non per le armi ma per aver superato con sortilegio e paura superstiziosa la forza e la convinzione dell’animo dei guerrieri celti che in battaglia entrano in “ estasi di furore irresistibile”, sentendosi , tanto uniti alle anime immortali sopravviventi dei loro antenati e dei loro dei , da perdere ogni timore della morte; videro i celti nel sacrificio di Decimo Mure lo spirito delle “anime immortali” combattere anche dalla parte di Roma … Persero i celti quello “spirito di furore” di guerra e di battaglia non venne meno il loro orgoglio e si misurarono col loro destino”.

-“ Vi narrerò dunque di questo terzo strato che, dalle striature rosse segna sulla stele eventi di sangue e di dolore, che hanno lasciato segni nel colore della pietra come nell’animo dei nostri ricordi ,poiché ne fummo partecipi nella nostra generazione e nelle narrazioni delle generazione di nostri padri e parenti . Vi narrerò perciò, con animo e con parole sentite, di eventi e di luoghi che è bene vi siano noti, poiché in quei luoghi e tra quei popoli vi apprestate alla vostra impresa .

Terre e campi da coltivare chiedevano i popoli celtici calando dal nord , trovando alleati o nemici nei popoli italici ma sempre, allora come ora, ebbero il contrasto delle legioni di Roma ; ma quando con fredda ferocia vennero rasi al suolo villaggi non fortificati e massacrati e costretti alla fuga vecchi donne e bambini ,quando i romani inscenarono conquiste di sterminio, temendo l’incubo dei biondi e forti guerrieri … si mobilitò l’intero popolo celtico .. Le schiere dei galli Boi si unirono a quelle dei Sènoni ed Etruschi e tutti si mossero come già una volta con Brenno in direzione di Roma ;..sembrava imminente,come ai tempi di Brenno , una seconda battaglia di Allia che di fatto ebbe luogo nello scontro al lago Vadimone, ora uno stagno paludoso di canneti, che ancora restituisce armi ed ossa di guerrieri; i romani ormai esperti della tattica celtica apprestarono una tremenda sconfitta su quel luogo, lungo il percorso inferiore del Tevere; l’eccidio fu enorme e il fiume si tinse di rosso fino a Roma ,e se anche le sue acque trasportarono sangue romano ,quello celtico era in maggior quantità .I Sènoni, più esposti al sopruso della conquista romana, combatterono con furore accecati dall’ira, furono tanto decimati da cessare di esistere come popolo.

Anche la potenza etrusca ne uscì spezzata e solo i Boi riuscirono a ritirarsi in qualche ordine , ma la patria degli annientati Sènoni divenne, ed è ora per i romani, l’ “ager gallicus”( l’agro gallico) terra di bottino e di conquista, con le colonie militari di Sena Gallica e la celebre Ariminum, stabilite a confine dello stato romano contro la nazione celtica della Gallia Cisalpina ,temuto territorio di popoli dai costumi fieri e colorati ,diviso in stirpi e tribù di impavidi guerrieri e fieri mercenari dalla bionda criniera presenti su molti teatri di guerra .

Su quel confine romano posto sull’Appennino da mare a mare, da Ariminum alla colonia “Obsequens” di Pisa , su quel confine che l’esercito di Annibale ora ha superato e che voi vi apprestate a raggiungere , si mosse in armi in tempi recenti la nazione dei celti, questa volta riuniti, contro il sopruso romano, insieme boi ,insubri e taurisci, inoltre i loro “re” erano entrati in contatto anche con le popolazioni celtiche , elvezi del Rodano superiore, per avere i loro “gesati”, soldati mercenari di mestiere, compartecipi all’impresa non per patria ma per bottino e preda di guerra, con tanto entusiasmo che mai non discese da quei luoghi una moltitudine più numerosa , più temibile e più bellicosa .

Erano per i Celti 50.000 fanti e 20.000 tra cavalieri e combattenti sui carri”, contro cui Roma allestì le sue legioni di “50.000 fanti e 4.000 cavalieri di nazionalità etrusca, sabina e umbra ; i sarsinati abitanti l’Appennino diedero circa 20.000 uomini , i veneti ed i Cenomani altri 20.000 ,..il tutto una forza di circa 135.000 uomini e con essi, a disonore dei celti pure i Cenomani ,della vicina Brixia nemica degli Insubri e di noi Orobi , che con i Veneti trattennero ai due “re”, degli Insubri e dei Boi, i presidi sul territorio.

Tutto lo spiegamento gigantesco di forze ebbe a preparare l’impresa epica e tragica sostenuta dai celti nello scontro con la minaccia di Roma, quando l’”ager gallicus”,il territorio sottratto ai Sènoni, venne assegnato spartito in centurie per i plebei romani e da essi colonizzato, scacciandone abitanti e villaggi.

Boi ed Insubri calarono inaspettatamente da ovest ,invadendo l’Etruria e saccheggiandola per arrivare fino a Chiusi, contro le precauzioni romane nella dislocazione di 50.000 legionari nel territorio di Ariminum ,subito allertati a congiungersi alle due legioni consolari dislocate a Pisa, colonia obsequens romana tra liguri ed etruschi mentre un terzo corpo di guardia al confine occidentale ebbe l’ordine di contenere e tallonare i celti in una strategia di predisposizione di un tridente di accerchiamento e di contrasto .

Dapprima con l’ astuzia dei fuochi accesi del campo abbandonato, sottraendosi silenziosi verso Fiesole allo scontro, i celti sorpresero con una sanguinosa sconfitta i romani inseguitori annientando le legioni della punta centrale del tridente romano . Persuasi a ripiegare in patria con il bottino i celti marciarono in direzione ovest mentre si gettavano ad inseguirli le truppe di uno dei due consoli venuto a marce forzate da Adria col piano di trovarsi alla battaglia con le legioni dell’altro console, che a sua volta scendendo da Pisa andava ad imbattersi nei celti. Gli eserciti si trovarono con mutua sorpresa al capo Talamone, e quando i celti si resero conto di stare fra le ganasce di una tenaglia si diedero una formazione di difesa circolare ,un fronte rivolto a nord ed uno a sud ed in mezzo il campo con il bottino. Gesati ed Insubri dovevano respingere le legioni di un console,Taurisci e Boi quelle dell’altro console; all’esterno dello schieramento venivano appostati i carri di battagli a una o due ruote, con una formazione che offriva un’ aspetto terribile a vedersi e per i celti, con i nemici che premevano su due fronti, pericolosa o vittoriosa dato che combattendo contemporaneamente i due eserciti nella battaglia si coprivano le spalle a vicenda . I romani pur consapevoli del loro vantaggio tattico “erano nello spavento per l’aspetto ed il clamore dell’esercito celta in armi, innumerevole era infatti la quantità di corni e trombe, poiché contemporaneamente al suono, si levava il canto di guerra di tutti i soldati e ne veniva tanto e tale frastuono che non soltanto gli strumenti e le truppe, ma anche le colline circostanti che tutte ne echeggiavano parevano emettere la loro voce dal profondo”. La maggiore impressione la facevano i “gesati”, mentre infatti insubri e boi sfoggiavano brache e mantelle “ quei guerrieri oltramontani , pativano tanto il caldo che sbarazzatesi di ogni indumento si gettavano contro il nemico completamente nudi,le bionde come indurite dal gesso in verticale , tra uno sfavillio di bracciali e collari d’oro”. Ai celti fallì il primo assalto di cavalleria e quando intervenne la fanteria si accorsero della differenza di armi con la spada romana che colpisce di punta e di taglio e la spada gallica solo di taglio , i celti uomini di alta statura e dallo scudo troppo piccolo offrivano bersaglio ideale per frecce e giavellotti e “.

Ve ne parlo ora –si interruppe a questo punto il vegliardo druido Belenos- come io leggo l’evento nei segni di questo rosso striato strato della sacra stalattite , come ne ebbi visione ed ora ne ho memoria e personale testimonianza e vidi e vedo valorosi guerrieri celti, nudi o spogli o leggermente vestiti e ordinati solo per l’assalto, fronteggiare all’improvviso un fronte chiuso di soldati romani , che avanzano coperti come da un muro dai loro lunghi scudi, tirando fulmineamente punte di spada e di lama dai distacchi tra scudo e scudo” .Al combattimento a distanza seguì il corpo a corpo e nel combattimento ravvicinato lo scudo romano protegge l’intero corpo a differenza di quello gallico che è più corto, e la spada romana colpisce prevalentemente di punta ma anche di taglio, mentre la gallica solo di taglio . Quegli scudi di cuoio legno o metallo, potevano essere spezzati solo con piattonate dall’alto in basso scoprendosi così ancor di più ,per via del braccio alzato, ed i celti guerrieri di alta statura e dallo scudo troppo piccolo per la protezione totale del corpo restavano bersaglio ideale per frecce e giavellotti .

Insubri, boi e taurisci ripiegarono sotto i colpi mentre i nordici “gesati” “si buttarono alla cieca ,in pazzo furore contro i nemici”; l’ ardimento di “gesati” venne infranto dagli arcieri! Caddero 40.000 celti che ora si facevano massacrare piuttosto che darsi alla fuga ,non meno di 10.000 furono fatti prigionieri e tra essi uno dei due re dei Galli, ma Aneroesto re dei Gesati si suicidò con tutto il suo seguito . A Capo Talamone non c’è monumento, e nessuna saga ricorda l’impresa di quegli eroi, poiché con loro là caddero a terra tutte le nostre speranze di liberà e di pace ! “Terminò il suo racconto e la sua visione il grande vegliardo e druido

.- “ Perché , o mio- grand-tàta, ne parli con animo triste ? –ebbe a dire Il giovane Lug – Rispose il vegliardo Belenos :“ La lunga vita e la veneranda età, che gli dei della terra , del cielo e delle acque , e Teu-tàte che li governa, mi hanno dato , questa mia vita, ebbe a che fare con gli i eventi che generazioni a me vicine e la mia vissero e che vi ho narrato come visioni di sogni e di speranze di libertà e di pace che non ebbero esito, se non l’avranno ora nelle attese che la presente vostra giovane età promette ed anela “ .

–“Venerando e saggio druido Belenos- intervenne Sead ligure di stirpe apuana- tali, sono le tue parole a quelle che a me rivolse ed ai miei compagni d’armi l’anziano del villaggio per congedo e per sua consolazione dicendoci : “ Noi anziani abbiamo visioni che siano per voi giovani i vostri sogni !, or dunque che le vostre visioni divengano i nostri sogni!”. E tutti si apprestarono per la partenza!

 

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