Le antiche mura ciclopiche di Ca’ Marta a Zogno: opera dei giganti?

Lungo la Strada Taverna, che collega i Ponti di Sedrina al Passo del Crosnello, si possono incontrare delle singolari costruzioni: enormi muraglioni che costeggiano il pendio che si dice siano state costruite da un gigante.
3 Giugno 2019

La Valle Brembana è ricca di misteri inspiegabili, spesso nascosti in luoghi dimenticati o ai più sconosciuti, ma non per questo meno importanti. A Zogno, il ‘capoluogo’ della valle, non ci sono solamente negozi e strade asfaltate: il paese brembano più popoloso può vantare nel suo ampio territorio anche numerose vie antiche, mulattiere un tempo utilizzate dai viandanti e dal contadini per spostarsi facilmente da un luogo all’altro.

Fra queste spunta anche l’antica Strada Taverna, che collega i Ponti di Sedrina al Passo del Crosnello, la cui importanza viene testimonianza addirittura in epoca rinascimentale: nata ancor prima della celebre Via Priula, il suo collegamento era necessario per aggirare le insidie del fiume Brembo e del torrente Brembilla, che veniva invece superato dal ponte a schiena d’asino detto “del Cappello”. Da qui ha inizio un viaggio un po’ mistico, intriso di storia e leggenda, che andrà a toccare uno dei misteri irrisolti della Valle Brembana: i muraglioni di Ca’ Marta.

Ma di cosa si tratta? Proseguendo per la mulattiera, superando santelle e contrade antichissime, si raggiunge in poco tempo la località ‘Pratonuovo’. Due scalinate laterali, dai gradini sovradimensionati, cinque possenti mura ciclopiche a mo’ di terrazzamento che costeggia il pendio, dalla lunghezza che va dai 16 ai 21 metri, quasi parallele e poste a distanze regolari. Enormi pietre squadrate a mano, dal peso di diversi quintali ciascuna, incastrate perfettamente e sovrapposte l’una sull’altra. In due di questi monumenti megalitici si può vedere anche un vano di apertura, di cui non si conosce la funzione. Sono questi i famosi muraglioni di Ca’ Marta.

La loro origine è incerta, ma quasi sicuramente preistorica, forse all’età del ferro: a conferma di questa ipotesi, il ritrovamento in zona di caverne antiche contenenti numerosi reperti e manufatti storici – dai pendagli alle ciotole e vasi risalenti a oltre 6000 anni fa, nel tardo Mesolitico. Ma qual era, allora, il loro scopo? Una affascinante teoria è che si trattassero di mura difensive di un antico insediamento umano, oppure un luogo sacro – ipotesi alimentata dal particolare orientamento astronomico delle mura. Rimaneggiate più volte nel corso del tempo, si pensa anche che i Ghibellini potessero averle utilizzate come roccaforte per proteggere l’ingresso della valle dai nemici Guelfi.

Ma la dimensione esagerata di queste mura ha stuzzicato la fantasia dei brembani di tempo fa: una serie di leggende sono nate attorno alle gigantesche pietre, alcune parlano di streghe, altre che siano opera di un gigante. In effetti, in mancanza di conoscenze scientifiche, non dev’essere stato difficile per i nostri avi immaginare (e credere) che un omone potesse aver preso costruito con facilità le mura, piuttosto che pensare che a farlo fossero stati altri umani come loro.

Complici di questa leggenda anche le non molto distanti “marmitte” nella Valle di Carrubbio, vasche circolari dovute all’erosione della roccia calcarea, che potevano con facilità essere scambiate per impronte di un gigante. In realtà, secondo lo storico Adriano Gaspani dell’Osservatorio astronomico di Brera, l’opera sembrerebbe più facilmente imputabile alla coalizione di una comunità organizzata, che collaborando ha reso possibile l’edificazione dei muraglioni, la cui origine continuerà – forse – a restare un mistero.

(Fonte immagine in evidenza:
geocaching.com)

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