Negli ultimi tre mesi, tra quarantena e distanziamento sociale, in molti hanno sperimentato per la prima volta i pro e i contro dello smart working, trasformando angoli di casa propria in ufficio. Tra questi, la FP-CGIL provinciale stima ci siano anche circa 3.000 addetti, funzionari e dirigenti degli enti locali bergamaschi (su un totale di 5.000 dipendenti).
“La grande maggioranza dei dipendenti dei Comuni hanno lavorato da remoto. Solo gli addetti all’anagrafe impegnati con denunce di nascita e morte (necessariamente in formato cartaceo), quelli della Polizia Locale e gli operai comunali non hanno lavorato in smart working” ha spiegato oggi Dino Pusceddu della segreteria della FP-CGIL di Bergamo. “Il lavoro agile esiste nella Pubblica Amministrazione dal 2015 ma non è mai stato davvero una pratica diffusa: non venivano acquistate le strumentazioni tecnologiche necessarie né venivano accolte le richieste di lavorare a casa, anche a fronte di situazioni di estrema necessità” prosegue il sindacalista.
Tutto cambia, però, con il contagio da Covid-19: “Del 25 febbraio è la prima direttiva del ministero della Funzione Pubblica che invita le pubbliche amministrazioni a potenziare il ricorso al lavoro agile” prosegue Pusceddu. “Con il DPCM del 1° marzo vengono tolte tutte le limitazioni per l’attivazione dell’istituto ovvero l’obbligo di accordo individuale e di comunicazione all’INAIL. Il 12 marzo (Direttiva n. 2/2020) il ministero della Funzione Pubblica individua il lavoro agile come la modalità ordinaria di lavoro per i dipendenti pubblici, concetto ribadito anche dal decreto Cura Italia e dal decreto Rilancio e valido fino al termine dell’emergenza, dunque ancora in vigore. Sembra che il ministro Dadone abbia l’obiettivo di far rimanere almeno il 40% dei dipendenti in lavoro agile anche in futuro”.
Per capire com’è andata sul territorio della provincia di Bergamo, la CGIL ha chiesto a tre lavoratrici di diversi Comuni orobici di raccontare la loro esperienza. Piena di entusiasmo per quanto ha sperimentato nelle ultime settimane è Roberta Boccia dell’Ufficio anagrafe di Villa d’Almè (nell’ambito dell’Unione dei Comuni di Almè e Villa d’Almè). In queste settimane ha svolto attività mista, in presenza e in smart working, a turno con le colleghe, proprio per la particolarità dell’ufficio in cui presta servizio.
“Sono assolutamente fiera e soddisfatta per come abbiamo gestito l’ufficio con personale tra l’altro dimezzato per malattia. È andata benissimo perla gestione del lavoro, per il rispetto delle norme di distanziamento e anche per la gestione della famiglia. Insomma, non ho mai lavorato così bene come ora. Con le colleghe, tutte donne, avevamo creato un gruppo Whatsapp che ora utilizziamo per organizzare le giornate.
Chi di noi lavora in presenza – è necessario ci sia almeno una persona in ufficio, per i tantissimi atti di morte di questi mesi e perché le pompe funebri necessitano di documentazione cartacea in originale – viene supportata da casa dalle altre colleghe che preparano gli atti e li condividono in una cartella online. Non tutto è stato semplice: l’amministrazione non è stata tempestiva nell’attivazione, abbiamo dovuto insistere fino a quando il lavoro da remoto non è diventato un obbligo di legge. Nel periodo successivo all’attivazione, poi, non c’è stato alcun riscontro da parte dell’amministrazione e malgrado stessimo gestendo bene una mole di lavoro enorme ci è stato chiesto di fare rapporto su quello che stavamo facendo. Ci siamo auto-organizzate, abbiamo fatto da sole e sta andando bene. Ora che i nostri mariti sono rientrati al lavoro, è fondamentale restare in smart working per la gestione dei figli che non vanno a scuola. Io farò richiesta di lavoro agile anche dopo l’emergenza, spero in una settimana al mese in via definitiva”.
Un avvio molto difficoltoso e tardivo per la poca convinzione dell’amministrazione comunale è quanto ha sperimentato Laura Vecchi, lavoratrice e delegata sindacale CGIL dell’ufficio cultura e sistema bibliotecario al Comune di Dalmine.
“Abbiamo vissuto da principio un’attivazione faticosa e tardiva, per un’esperienza che comunque per me è stata positiva. Quello che è emerso è che ancora manca una cultura del lavoro agile come strumento per operare a progetto, su precisi obiettivi. Siamo arrivati tardi: già la riforma Madia della Pubblica Amministrazione prevedeva una percentuale del 10% di personale da far lavorare in smart working, ma questa non è mai partita. Con il sopraggiungere della crisi sanitaria, a Dalmine siamo partiti tardi e senza confronto: l’amministrazione non ha cercato alcun dialogo con noi delegati sindacali né con i lavoratori, e invece questo avrebbe invece facilitato e reso più veloce il processo. Così nelle prime settimane si è scelto di usare ferie, congedi, banca ore e recuperi di ore straordinarie e solo dal 30 marzo lo smart working è stato adottato in modo organico, malgrado noi delegati sindacali dal 26 febbraio avessimo sollecitato l’amministrazione sui temi della sicurezza e del lavoro smart, da attivare anche nelle sue modalità più semplici, come previsto dalla legge, partendo anche solo dalla formazione a distanza. Sembrava quasi che lo smart working fosse un ostacolo per l’ente, invece che un’occasione per continuare a far funzionare il comune, e rispondere al cittadino anche nell’emergenza.
Ho assistito a qualche difficoltà anche tra alcuni colleghi: c’è davvero la necessità di rivedere il ruolo del dipendente pubblico e la visione che ne abbiamo, anche tra noi lavoratori. Non si può chiedere fiducia del cittadino quando noi dipendenti stessi non ci fidiamo e fatichiamo ad andare al di là della logica della presenza fisica. Comunque, superato lo scoglio iniziale, e una volta a regime, una buona parte di lavoratori dell’ente si sono trovati in smart working. Per me è stata un’esperienza molto positiva: con la mia dirigente ci siamo concentrate sul lavoro per progetti specifici. Ma non tutti, fra i dirigenti, hanno capito che il lavoro agile è un’attività da strutturare su obiettivi, tanto che l’amministrazione ha chiesto report su quanto tempo lavoravamo sulle singole attività. Insomma, c’è stata diffidenza di fronte a questo strumento che, invece, speriamo resti attivo per quanto possibile anche dopo l’emergenza. Speriamo finalmente che la famosa innovazione e la digitalizzazione nella Pubblica Amministrazione – di cui da tempo si parla – si integrino con le altre modalità di lavoro, che non restino solo parole sulla carta. Questa crisi si è rivelata un’opportunità. Anche se in ritardo, siamo contenti di essere partiti”.
Con grande rapidità ed efficienza si è, invece, provveduto ad attivare il lavoro agile al Comune capoluogo, dove già prima dell’emergenza Covid-19 questo strumento veniva utilizzato. Lo racconta Elisabetta Belloni, responsabile del settore Gestione Documentale del Comune di Bergamo.
“La direzione generale ha provveduto molto rapidamente a porre in smart working tutti coloro per i quali fosse possibile. Così nell’arco di appena tre giorni, nel mio settore che impiega 24 lavoratori, l’80% del personale è stato in grado di lavorare da remoto. Un grande sforzo è stato compiuto dai colleghi dei sistemi informativi, che fino a tarda notte hanno abilitato pc privati e provveduto a fornire software affinché si fosse in grado di operare da casa. Insomma, è stata applicata alla lettera la disposizione nazionale che prevede di adottare il lavoro agile come modalità ordinaria”.