Di seguito la lettera scritta dalla nostra collaboratrice Chiara Bonzi, studentessa del quinto anno all'Istituto Turoldo di Zogno indirizzo Liceo Linguistico, per il concorso “Dimmi cosa vedi” promosso da Bergamo per i Giovani (Comune di Bergamo) che ha chiesto ai ragazzi tra i 14 e 19 anni di età di raccontare (con elaborati scritti o artistici-multimediali) la vita e la scuola ai tempi della pandemia, le rinunce, i cambiamenti, l'isolamento forzato.
Il testo è stato pubblicato, in parte, sulle pagine de Il Corriere della Sera (Ed.Bergamo) del primo maggio.
UNA LETTERA ALLA MIA SCUOLA
Cara scuola,
Ti scrivo una lettera.
Ti chiederai perché ti scrivo una lettera, e la domanda è più che valida. È dal 26 Febbraio che non ci vediamo, a causa di questa epidemia virale che chiamano “Coronavirus”. Che poi io, cosa effettivamente sia questo Coronavirus, ancora non l’ho ben capito. Ciò che è chiaro a tutti, è che rimarrai chiusa almeno fino alla metà di Marzo. Mi manchi? Sì. Lo so che potrò sembrare “smielata”, ma, a volte, il valore delle cose lo comprendi solo quando non le hai più.
È vero, mi causi tantissimo stress, e per questo mi procuri tanti malanni. È vero, mi tieni occupata tutto il giorno. È vero, spesso mi fai piangere. Ma non sei solo questo. Sei anche conoscenza, sei punto di incontro, sei un gruppo di persone.
È proprio sui tuoi banchi, nei tuoi corridoi, che nascono le amicizie, magari anche i primi amori. Permetti a noi studenti di ampliare le nostre conoscenze, di metterci alla prova e di autovalutarci. Però sei anche veramente tosta. Ci impegni di giorno e sì, anche la notte. Ci procuri ansie che a volte ci fanno litigare con i nostri amici, o persino con i nostri genitori. Dicono che i voti non sono importanti, ce lo ripetono in continuazione, eppure io e te sappiamo benissimo che sono molto importanti. Prendi me. Se i miei voti non saranno alti abbastanza, non riuscirò a prendere la borsa di studio che mi permetterà di pagarmi gli studi; se all’esame di maturità non raggiungerò l’82, non potrò accedere a una scuola straniera. Questo vorrà dire accontentarmi di restare nel mio paese, accontentarmi di un lavoro qualsiasi. Okay, forse un po’ ho esagerato, ma questo rende l’idea che i voti sono importanti, o almeno lo sono per molti di noi studenti.
Nonostante tutti gli aspetti negativi, però, tu, cara scuola, mi piaci. Sei sempre stata tutto per me: il mio dovere, il mio diritto, il mio lavoro, il mio sfogo, il mio hobby. E ora che non ti ho più, quando passo per strada e ti vedo là, tutta sola e spenta, il mio cuore si spezza. Mi manca alzarmi presto e, mezza assonnata, andare a prendere il pullman. Mi mancano le voci per i corridoi, per le scale. Mi mancano i volti familiari dei miei amici, o di persone che semplicemente vedevo tutti i giorni. Mi mancano le risate, le lezioni noiose, i mal di testa e quel senso di nausea prima di una verifica. Perché? Perché sono tutte cose che conosco bene e con le quali ho imparato a convivere, fanno parte di me. A casa, invece, mi sento quasi fuori posto.
A scuola so chi sono, so cosa gli insegnanti si aspettano da me e cosa devo fare; a casa no. Mi sento come se non appartenessi a questo posto, mi sento inadatta, non so che fare. E per questo mi rifugio ancora nei tuoi libri, o nei miei libri da leggere. Devo impegnare il tempo al massimo; anche se, certo, tu contribuisci a non farmi avere tempo libero, dato che, anche a distanza, ci stai sommergendo di compiti e studio.
Però mi manchi, quindi ti prego: torna presto. Io ti aspetto.
Con affetto,
La tua studentessa Chiara