Frane, alluvioni, colate di detriti e valanghe. In una parola, dissesto idrogeologico. Un problema, che in Italia pende sul 90% dei Comuni, condizionato dalle caratteristiche geomorfologiche, idrografiche e litologiche del nostro territorio. E, in Bergamasca, un problema che ricade su tutte le vallate, e anche sui pendii e le vallette che ricadono nei laghi.
Così, Carlo Personeni, presidente del Consorzio BIM Lago di Como e fiumi Brembo e Serio: “Certo, il nostro territorio presenta una propensione naturale al dissesto, ma questo non deve essere un alibi. Abbiamo di fronte un’impresa colossale: sanare una situazione generale da “allarme rosso”, creatasi in 30-40 anni di urbanizzazione “selvaggia”, senza regole, che ha attivato migliaia di situazioni potenzialmente a rischio, come dimostrano tutti quei paesi che presentano torrenti tombati, corsi d’acqua del reticolo minore cementati, case edificate sulle sponde di fiumi e torrenti oppure ai piedi di colline o versanti, spesso ex-frane.
Ad ogni evento meteorologico sopra la norma, spesso insolito per la stagione in corso, è un ripetersi di episodi di dissesto, di situazioni drammatiche, di interventi di protezione civile e forze dell’ordine, di proclamazioni di stati di emergenze. Un quadro che è ormai fisiologico nei nostri territori. Questo, però, non accade in Germania o Gran Bretagna, o almeno non con la nostra frequenza. Siamo in costante stato di allerta e stress ambientale, che mette a dura prova soprattutto chi è impegnato a gestire queste emergenze. Senza dimenticare i morti. Le statistiche sono impietose: dal 1970 al 2019, il dissesto idrogeologico ha provocato in Italia quasi 1.700 morti, con corredo di dispersi, 2.000 feriti e oltre 320.000 persone evacuate (fonte: Linkiesta).
Tante, troppe, a milioni le persone che vivono in zone esposte al rischio di frane e alluvioni. E la Bergamasca è fra queste. Colpa di una incontrollata urbanizzazione (borghi diventati paesi, paesi diventati città), spesso non affiancata da una corretta pianificazione territoriale, che ha portato al drastico aumento dei luoghi esposti a frane e alluvioni. Parallelamente, l’abbandono delle aree rurali montane e collinari ha determinato l’assenza di un importante presidio del territorio. Dagli anni ‘50 ad oggi, il consumo di suolo è quasi triplicato, nonostante la popolazione sia aumentata a ritmi meno serrati. È chiaro, dunque, che il problema, molto “made in Italy”, del dissesto idrogeologico non dipende solamente dalla specificità del territorio, né tantomeno dal sempre più sbandierato cambiamento climatico. Certo, questo è una concausa: le statistiche, infatti, parlano di un forte aumento dei fenomeni meteorologici violenti, con precipitazioni mai registrate prima d’ora, ma a ben guardare siamo stati noi a favorire l’aumento delle situazioni a rischio.
Noi siamo “il Paese del “giorno dopo”, che interviene quasi sempre in emergenza e quasi mai prima, in condizioni di tranquillità. Abbiamo ristretto, deviato e cementato migliaia di corsi d’acqua, velocizzando il loro deflusso. Abbiamo coperto migliaia di km di ruscelli e torrenti per realizzarvi sopra strade, capannoni industriali, parcheggi. Abbiamo dimenticato la manutenzione ordinaria delle opere edificate, così come la pulizia periodica dei corsi d’acqua. Abbiamo costruito vicino ai corsi d’acqua, non solo case, ma garage sotterranei, cantine e magazzini. Senza dimenticare, poi, la macchia nera dei condoni edilizi. Insomma, abbiamo fatto tantissimo per distruggere il nostro territorio.
Anche come Consorzio BIM abbiamo verificato questa escalation di episodi di dissesto. Lo confermano gli annuali contributi che destiniamo ai nostri Comuni perimetrati nel consorzio, per sanare situazioni critiche o a rischio nei loro territori. Andando a ritroso negli anni, ho verificato che il Consorzio BIM negli ultimi dieci anni ha destinato oltre 3 milioni di euro a fondo perduto ai Comuni che hanno presentato richieste di aiuto per problemi di dissesto idrogeologico. E anche quest’anno, l’assemblea dei Comuni della scorsa primavera ha destinato due fondi: uno di 300.000 euro, quale contributo unico, o integrativo a quello regionale, per dissesti idrogeologici; e un altro di 150.000 euro per emergenze varie. Certamente, una boccata d’ossigeno per i nostri Comuni, in quanto i nostri contributi sono immediatamente disponibili e servono per finanziare le progettazioni, che sono urgenti e non sempre finanziate da Regione Lombardia. Il Pirellone, infatti, in linea di massima per i Comuni fino a 5.000 abitanti, contribuisce al 100%, ma con un massimo di 100.000 euro, salvo casi eccezionali. Per i restanti Comuni eroga l’80% della spesa necessaria: il Consorzio BIM, su richiesta dei Comuni, prende in considerazione le varie spese del quadro economico relativo ai lavori di somma urgenza, con un contributo pari al 20%, fino ad un massimo di 20.000 euro, a copertura delle spese non riconosciute dalla Regione.
In percentuale, i nostri fondi sono molto più sostanziosi di quelli erogati in questi anni dal Governo su questa tematica o di quelli previsti dal Pnrr. È necessario, quindi, trovare altre risorse, soprattutto per la costante e continua manutenzione di boschi, pascoli e prati. Non a caso in Italia, negli ultimi dieci anni ci sono state oltre 100 dichiarazioni di stato d’emergenza, per diversi miliardi di danni. Ma gli importi realmente “ristorati” al territorio arrivano veramente a coprire i costi per il risanamento dei danni? Sarebbe da fare un’indagine in tal senso. Comunque, oggi è il tempo delle scelte di fronte alla crisi climatica, ma la soluzione non sono certamente soltanto le dichiarazioni di calamità. È indispensabile che le aree a rischio idrogeologico e la rete idraulica minore siano concretamente considerate nel Piano per l’Assetto Idrogeologico (PAI), quale politica ambientale prioritaria in un territorio instabile come quello italiano. E si può anche prevedere che nel sistema PSEA (Pagamento dei Servizi Ecosistemici e Ambientali) vengano considerati gli interventi di pulizia e manutenzione dell’alveo di fiumi e torrenti.
Quale la strategia per combattere il dissesto? Una sola: prevenzione. E’ oltremodo fondamentale recuperare la memoria storica, perchè molto spesso gli eventi franosi e le alluvioni si ripresentano nello stesso sito. L’analisi storica, poi, dimostra che, quando vengono inondate zone mai colpite prima da eventi calamitosi, nella maggior parte dei casi ciò è stato provocato da nuove costruzioni che hanno modificato il territorio e il suo naturale sviluppo. Purtroppo, la ricerca storica non viene presa quasi mai in considerazione dalle amministrazioni locali: per evitare responsabilità, si fa finta di non sapere. Eppure, basterebbe avere un registro pubblico consultabile con le cartografie delle zone colpite in passato.
Serve un cambio di passo, un vero e proprio “New Deal”, a tutti i livelli amministrativi, per stendere un grande piano di risanamento idrogeologico, per tutelare l’ambiente, la vita e il lavoro, magari con il sostegno dei fondi comunitari. Così facendo, si potrebbero fornire occasioni di lavoro per le imprese, con chiari riflessi positivi sulla qualità ambientale, la sicurezza del territorio e il contesto socioeconomico nel medio e lungo termine. Purtroppo, finora si è fatto poco o nulla: basta una serie di temporali per ritrovarci con strade interrotte, ponti sgretolati, paesi e borghi isolati, con centinaia di milioni di euro di danni.
I problemi sono noti a tutti, ma si fa finta di non accorgersi: scarso utilizzo delle risorse stanziate per il Fondo progettazione contro il dissesto idrogeologico e inefficacia delle misure finora adottate, di natura soltanto emergenziale e non strutturale. Inoltre, pesante burocrazia, procedure inadeguate, assenza di controllo e monitoraggio del territorio; scarsa comunicazione operativa tra Stato e Regioni; difficoltà a trovare le fonti dei dati sui dissesti. Ma cosa ben più grave, diffusa difficoltà delle amministrazioni locali a inserire le azioni di tutela e prevenzione nell’operatività ordinaria, con il conseguente automatico ricorso alla gestione commissariale. Di contro, ecco le proposte: immediata revisione dell’attuale sistema di gestione del territorio, in chiave preventiva e non emergenziale, semplificazione delle procedure burocratiche e di utilizzo delle risorse, potenziamento del monitoraggio e verifica degli interventi”.
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parole sante: prevenzione.
ma è prevenzione spendere milioni per un tratto di villa d’almè – dalmine che non risolve il traffico ed è semplicemente 4 me sotto il livello del terreno? è ovvio che si allaghi. come la vostra fotografia conferma.se è permesso, eviterei paragoni con altri paesi non controntabili. in germani Germania nel 2021 ed anche nel 2022 singoli eventi hanno avuto circa 200 morti.
La Gran Bretagna è praticamente piatta. non ha territori collinari o montuosi come in Italia.