La poesia del reduce dai lager diventa una canzone del Coro Cai Valle Imagna: il 27 maggio l’esibizione a Ubiale

Il Coro Cai Valle Imagna canterà la poesia di un reduce di guerra musicata dal direttore Filippo Manini. Il brano verrà proposto il 27 maggio in occasione di “Ritorno a Baita”, serata organizzata per celebrare il 50esimo anniversario dalla fondazione del Gruppo Alpini di Ubiale.
26 Maggio 2022

La poesia di un reduce di guerra (la trovate a fondo articolo) diventa una canzone del Coro Cai Valle Imagna. Ad occuparsi della “conversione” Filippo Manini, direttore del Coro CAI Valle Imagna “Amici della Combricola”, che ha scritto e composto la canzone ispirandosi alla poesia del reduce alpino Giovanni Gamba di Ubiale (scomparso due anni fa), scritta nel periodo di prigionia nei campi di lavoro tedeschi. La canzone verrà proposta il 27 maggio durante l’esibizione del coro a Ubiale Clanezzo, in Piazza Bortolo Belotti, dalle ore 21.00 (in caso di maltempo nella chiesa parrocchiale di Ubiale).

In occasione del 50esimo anniversario dalla fondazione del Gruppo Alpini di Ubiale il coro diretto da Manini si esibirà nella serata “Ritorno a baita”, circostanza durante la quale verrà appunto proposto al pubblico, oltre al classico repertorio di montagna, il brano nato dalla lettura della poesia scritta dal reduce di guerra Giovanni Gamba: “ Nel nostro coro ci sono parecchi abitanti di Ubiale Clanezzo, sono loro ad avermi fatto conoscere la poesia scritta nel 1944 da Giovanni Gamba, alpino prigioniero nei lager nazisti e originario di Ubiale.

Il canto che ho scritto prende il titolo di “Pasqua 44” e affronta i temi di cui aveva scritto Giovanni nel suo testo, in particolare lui rievocava casa sua e quindi tutto il brano ruota attorno all’immagine del campanile di Ubiale che suonava, simbolo del paese in grado di produrre un suono evocativo e coinvolgente. Nel pezzo ho inserito dei giri di campane e ho cercato di conferirgli una patina allucinata, l’intento era quello di dare l’idea di questo prigioniero che scrive una poesia in un contesto alienante. Il brano, che avevo scritto alcuni anni fa ma all’epoca ancora eccessivamente acerbo e quindi accantonato, inizia con un canto allucinato che si evolve in un crescendo, dove lui ricorda la sua patria e prosegue con il diminuendo, accompagnato da una melodia più dolce, quasi fosse una ninnananna”.

La prigionia (e la poesia) di Giovanni Gamba

“In soli due giorni i tedeschi riuscirono a catturare oltre un milione di soldati italiani dislocati in Italia, in Francia, nei Balcani e in Grecia, mentre il materiale bellico fu prontamente sottratto e divenne bottino di guerra tedesco – raccontava Giovanni Gamba nella testimonianza raccolta da Andrea Cortinovis -. I militari italiani furono deportati nei lager tedeschi. Dopo l’ammassamento fui costretto a salire sul treno. Passai il Brennero, Innsbruck, Vienna, finché raggiunsi il campo di concentramento di Dachau. Furono due giorni di viaggio in treno senza che ci dessero qualcosa da mangiare o da bere; ci dovevamo accontentare di quello che eravamo riusciti a portarci dietro dalla caserma. Ma quando giunsi a Dachau la cosa che sul momento mi fece più impressione furono i reticolati che circondavano il campo; solo dopo venni a sapere che vi passava la corrente elettrica che serviva per uccidere chiunque tentasse di scavalcarla per fuggire.

Ero in camera con prigionieri di tutte le nazionalità: polacchi, ucraini, belgi, francesi, olandesi…, le condizioni di vita, come anche le nostre camere, erano pietose. Dopo 25 giorni che eravamo a Dachau fummo radunati e ci chiesero se qualcuno di noi voleva aderire alla neonata repubblica di Salò, guidata da Mussolini, e così combattere a fianco dei tedeschi in cambio della libertà. In quell’occasione fummo in molti a rifiutare questa offerta; la ritenni una proposta altamente offensiva nei riguardi di coloro che, come me, avevano giurato di combattere per l’Italia. Io parlo per me ma penso di rispecchiare in pieno il sentimento di gran parte dei miei compagni di sventura che si rifiutarono di collaborare coi crimini dei nazisti, rimanendo fedeli alla propria coscienza, anche se ciò comportò la continuità della prigionia. Tuttavia, devo dire che alcuni accettarono la proposta dei nazisti e, in cambio del ritorno in Italia, aderirono alla Repubblica Sociale Italiana. Ad anni di distanza posso tentare di comprendere le motivazioni che spinsero costoro a compiere questa scelta anche se resto convinto del fatto che essi, con quel gesto, tradirono l’Italia e il giuramento che avevano fatto! Mi risuonano ancora nelle orecchie le grida dei miei compagni rivolte a quelli che in quel giorno passarono dalla parte dei tedeschi: “Traditori!”, “Fascisti!”, “Venduti!” e tante altre parole che qui evito di dire.

Al netto rifiuto fece séguito il mio trasferimento al campo di concentramento di Neuengamme, nei pressi della città tedesca di Amburgo. Eravamo stipati in 24 persone in una baracca e per i bisogni fisici c’era a disposizione soltanto un bidone di latta che doveva bastare per tutti. Da mangiare avevamo a disposizione in 24 ore: due filoni di pane ed un mestolo di brodaglia la sera e basta! Di notte la baracca veniva chiusa a chiave e di giorno ci mandavano fuori in città a lavorare per le strade e bisognava far tutto quello che comandavano di fare. Così fu per i successivi 8 mesi finché i tedeschi mi cambiarono mansione e mi misero a pulire le baracche e a rifare i letti dei prigionieri. Tenni quella mansione per 4 mesi. Non c’erano attrezzature per l’igiene personale; ogni tanto ci spruzzavano addosso una sostanza antipidocchi, nudi all’esterno anche in inverno…[…] Finalmente arrivò il gran giorno in cui giunsero gli americani a liberarci. Lascio immaginare quali fossero i sentimenti di quel momento e la gioia per quell’avvenimento!”.

Ecco la poesia scritta da Giovanni Gamba durante il periodo di prigionia nel lager nazista.

Pasqua ‘44

Penso al mio campanil
Suonar l’ “Ave Maria”
Gioia profonda che
Io non conosco più
Gioia profonda che
io non so più che sia.
Guardo laggiù il mio nido
e la malinconia mi stringe il cuor.
Ci penso tanto
Mentre io canto,
E la lontananza fa morir.
Campanil, eri tu che suonavi la sera!
Campanile, laggiù mi aspettavi in preghiera!
Trema il mio cuor e ricorda
la casa mia, il mio amore
che m’incatena al mio suol
alla bella Patria mia ed al mio paesel

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