Alla scoperta delle stüe in Val Brembana, il cuore (dimenticato) della casa contadina

Generalmente posto accanto alla cucina, era luogo di giochi di bimbi, di riposo di uomini dopo le dure attività agricole e boschive, di lavori di donne come la filatura, di racconti di vecchi e di discreti corteggiamenti di giovani pretendenti.
6 Dicembre 2022

Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.13” a cura di Alessandra Civai e Desirée Vismara.

Che cosa è una stüa? La stüa (nell’accezione bergamasca e dell’alta Valtellina) o stube (nella forma tedesca, presente anche nelle alpi orientali) – probabilmente derivata dal verbo latino volgare extufare (scaldare), tratto dal vocabolo greco thyphos, cioè “fumo, vapore” – è una stanza foderata in legno, che costituiva un ambiente particolarmente caldo e confortevole, il vero cuore della casa contadina, testimoniato nell’arco alpino almeno dal XVI secolo.

Era un luogo conviviale dove venivano svolte gran parte delle attività domestiche. Generalmente posto accanto alla cucina, era luogo di giochi di bimbi, di riposo di uomini dopo le dure attività agricole e boschive, di lavori di donne come la filatura, di racconti di vecchi e di discreti corteggiamenti di giovani pretendenti. Nel passaggio dal mondo contadino a quello borghese e altoborghese la stüa diventa soggiorno, sala di riunione con scopi professionali o sala di rappresentanza. Nel corso dello studio sul patrimonio artistico e culturale di Roncobello confluito nel volume L’arte ritrovata. Scoperta e restauro di antiche statue a Roncobello in Alta Valle Brembana, pubblicato nel 2012, ci siamo imbattute in una interessantissima stüa completamente dimenticata all’interno di una dimora disabitata, chiusa e adibita a magazzino in contrada Ca’ Bonetti a Baresi.

La struttura in semplice abete (particolarmente diffuso in loco) è ancora pressoché intatta, con il suo pavimento originale, le armadiature a muro, la panca continua che corre lungo il perimetro della stanza, le finestre strombate rivolte a mezzogiorno per lasciare penetrare più luce, e con l’unica mancanza del pannello sul soffitto al centro che doveva contenere lo stemma intagliato della famiglia. L’edificio apparteneva ai notai Bonetti di Baresi, che, come risulta dalla data topica indicata nei loro atti, svolgevano la professione in questa stüa: gli armadi servivano per l’archiviazione degli atti, le panche per ospitare i contraenti e i testimoni.

Dal momento della scoperta e del riordino del locale, la stüa dei notai a Baresi è stata inserita in itinerari organizzati periodicamente dall’Associazione culturale “Maurizio Gervasoni” di Baresi. Abbiamo poi saputo che a Roncobello, Comune che comprende tutta la Valsecca, diramazione dell’Alta valle Brembana, con le località di Bordogna, Baresi, Roncobello e numerose altre contrade costituite da piccoli agglomerati di case, sono ancora esistenti almeno altre tre stüe private. Di conseguenza abbiamo pensato che questa particolare struttura di ambiente abitativo, luogo ideale per il soggiorno e le riunioni nei lunghi mesi invernali, già nota in esempi anche di notevole pregio artistico nell’Alto Adige, nel Tirolo, in Valtellina e in Engadina (ovvero la Rezia italiana), ma anche in Val Camonica con alcuni esempi minori (per esempio a Borno), sopravvivano anche nelle Valli bergamasche, ma ormai del tutto sconosciute o quasi del tutto ignorate.

L’unico affondo bibliografico su questo argomento risale al volume Arte minore bergamasca di Luigi Angelini del 1948, ripubblicato nel 1956 e nel 1974. Luigi Angelini vi raccolse in trent’anni un’imponente documentazione sull’arte popolare bergamasca, illustrata con suoi disegni originali. Nel suo libro dedica un capitoletto alle stüe e ne descrive sei di cui una a Lepreno in casa parrocchiale, tre a Schilpario in case private, una a Foppolo ed una a Oltre il Colle. Già a quell’epoca l’Angelini registrava l’impoverimento di questo patrimonio, pur meritevole di essere documentato: “Gli esempi, non molti, ora rimasti nelle nostre vallate, se non sono raffrontabili con esempi di ricchi lavori di intaglio delle vallate atesine e ancor più dei paesi del Tirolo e di Baviera, sono tuttavia da ricordarsi”.

E non mancò già allora di denunciare una situazione di degrado che andava a colpire in particolare questa arte minore: “L’abbandono e l’incuria che particolarmente hanno infierito sulle memorie più umili del passato, rende più urgente la raccolta di questi elementi d’arte e di vita sempre più rapidamente destinati a scomparire”. Pochi sono gli studi ulteriori sulla diffusione di questa tipologia di spazio abitativo, tipica dell’arco alpino, in Lombardia. La stüa è presente tra le espressioni delle conoscenze artigianali locali nell’inventario on-line Intangible Search di Regione Lombardia, nato per diffondere la conoscenza del patrimonio culturale immateriale. Tale inventario si fonda sui principi della Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (2003). È stata inventariata la tradizione costruttiva e abitativa della stüa, ma non le singole stüe per le evidenti difficoltà nel censire sopravvivenze in ambito privato non accessibili al pubblico.

Il pregio artistico delle stüe viene individuato già a fine Ottocento, quando, sebbene in una cultura ben lontana dal nostro concetto di conservazione, alcune di esse vennero smontate e ricostruite anche in musei esteri, addirittura a Seattle. Nel 2011 lo studio, a cura dello storico Guido Scaramellini, La “stüa” nella Rezia italiana, cioè in quella parte delle Alpi Retiche dove si parla italiano (Valtellina e Valchiavenna in Italia; Val Bregaglia e Val Poschiavo nei Grigioni in Svizzera) e dove per la posizione strategica e l’importanza socio-economica della Valtellina e dell’afferente Val Chiavenna, si annoverano esemplari di stüe di notevole pregio artistico, aventi strutture elaborate di stile architettonico e ricchezza di intagli.

La più antica documentazione sul funzionamento della stüa per la Valle Brembana ci è offerta dal rilievo per la relazione dei lavori da farsi alla strada Priula e alla Ca’ San Marco effettuato dell’ingegner Urbani nel 1793. Questo disegno è stato più volte pubblicato ma mai studiato a fondo: la planimetria è relativa al piano terra ma con riferimenti al piano superiore.

stue 1 - La Voce delle Valli

La stüa è posta al primo piano, sopra l’ingresso porticato e confina con la cucina soprastante la cantina. Quasi sempre le stüe, da quanto emerge dagli atti notarili, si trovano al primo piano. La stufa che riscalda l’ambiente è posizionata in L e alimentata nel punto O. Essa avrà una struttura in muratura in cui verranno inseriti 120 lavezzoli, cioè 120 piccole tazze di pietra ollare, pietra a lento rilascio di calore. Purtroppo questa stüa non esiste più, ma una stüa con una stufa simile si può ancora vedere nel Palazzo Paribelli ad Ancogno in Valtellina: le stufe così costruite, in Valtellina, sono denominate “pigne”, termine non ignoto anche in Val Brembana.

In Val Brembana una stufa molto simile a quella disegnata dall’Urbani è stata rilevata da Luigi Angelini a Foppolo nel 1936. Dal nostro sopralluogo a Foppolo nell’estate del 2013 è emerso che c’è ancora la stüa ma non la stufa; la proprietaria però, osservando l’immagine dell’Angelini, oltre a confermarci la somiglianza con quella che aveva visto di persona in gioventù, ci ha dato anche ulteriori preziose informazioni: come sempre la stufa era alimentata dal camino, ancora esistente, posto nella cucina, mediante un foro nel muro; e quelli che nel disegno ci sembrano buchi erano tazze in pietra ollare, i lavezzoli di cui parlava l’ing. Urbani. Questi manufatti in pietra ollare, prodotti in Valtellina, non erano difficili da reperire, perché Foppolo era in contatto con la Valtellina mediante la strada che dal passo Dordona scende a Fusine, collegamento esistente già prima della famosa via Priula, realizzata nel 1593. E, piccola curiosità, dell’appalto per la strada cavalaria che andava da Fusine a Foppolo abbiamo notizia in un atto redatto nel 1581 a Fusine nella stüa del Capitano Battista Salis.

stue 2 - La Voce delle Valli

Abbiamo rinvenuto altre stüe ancora esistenti: due a Bordogna, una a Baresi, una a Piazza Brembana, una a Valleve, e a Foppolo quella già rilevata da Luigi Angelini. Collegandosi al sito di “Archivio Bergamasco” (www.archiviobergamasco.it) potete vedere immagini relative alle stüe fino ad ora individuate e visitate in Val Brembana; per motivi di riservatezza non è indicata la precisa ubicazione né la proprietà.

Fonte Foto: Archivio Bergamasco

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