Le guerre dei Celti capitolo 7

Romanzo storico che ha l'intento di narrare la storia del nostro territorio facendola rientrare nella Grande Storia, nel periodo delle guerre puniche.
16 Maggio 2020

Settima puntata del racconto “Le guerre dei Celti”. Un piccolo romanzo storico che ha l'intento di narrare la storia del nostro territorio facendola rientrare nella Grande Storia. Come già fatto con le guerre persiane anche con questi racconti celtici andremo a raccontare le guerre puniche per parlare dei Celti che hanno abitato e vissuto sul nostro territorio, lasciando il segno della loro cultura.

 (PER LEGGERE CAPITOLI PRECEDENTI: capitolo 1 – capitolo 2 – capitolo 3 – capitolo 4 – capitolo 5 – capitolo 6)

CAPITOLO 7 – Le schiere dei Celti col vincitore Annibale

Le armate  dei Celti  col vincitore Annibale – La decisione era stata presa  da Annibale, la guerra si doveva portare contro Roma . I principi  dei Galli Boi ed Insubri lo avevano sollecitato  a portare  lo scontro  oltre l’Appennino,  non volendo fare della loro terra padana  il campo di scontro delle due grandi potenze di Roma e di  Cartagine,  e nello stesso tempo volendo soddisfare la brama e la  speranza di preda e di saccheggio dei molti capi e guerrieri al loro seguito.

Roma ebbe paura , per la guerra contro i Cartaginesi ma soprattutto per la guerra contro “ i Galli che sono al di qua delle Api “, Roma ebbe paura per l’arrivo di Annibale ma sopratutto  per  l’arrivo  dei Galli nemici da sempre, con la  minaccia ancestrale “Guai ai vinti !”, fatta  da  Brenno  alla  repubblica dei Quiriti . Roma ebbe paura: “..ed accrescevano la paura notizie di prodigi diversi : In Sicilia scintille uscirono dalle  punte delle lance, due scudi avevano sudato sangue in Sardegna,  a Preneste erano caduti dal cielo sassi infuocati, ad Arpi si era visto il Sole combattere con la Luna, a Capena durante il giorno erano sorte due lune,a Roma la statua di Marte sulla Appia aveva sudato sangue, ad Anzio caddero sui campi spighe insanguinate ed a Capua era apparsa nel cielo una luce fiammeggiante.  Si ordinò  ai decemviri di consultare i libri sibillini, Roma fu purificata , furono sacrificate vittime adulte  agli dei, furono portate in dono a Giunone a Lanuvio 40 libbre d’oro,  ed una statua di bronzo fu dedicata a Giunone regina sull’Aventino; fu disposto un lettisternio a Cere ,fu ordinato un lettisternio alla Dea della Giovinezza, e indetta  una preghiera pubblica al tempio di Ercole con concorso di tutto il popolo”.

Meno superstizioso e orgoglioso si sé, per la seconda volta console Gaio Flaminio, nemico dei celti   che da pretore, come bottino di guerra, aveva distribuito  alla plebe l’ “ager gallicus”, le terre  dei Senoni  e da  console  6 anni prima aveva preteso, contro l’aristocrazia del senato,   il ”trionfo”  dal popolo romano, per aver  sottomesso  i celti padani con colonie e fortezze nel territori dei  Galli Boi e devastando le  terre degli Insubri e la loro capitale Medhelan.

Incurante dei cattivi presagi e  poco rispettoso degli dei ,  non ebbe tempo   per prendere gli auspici prescritti  e per indire  le “Ferie latine” con i sacrifici a  Giove Laziale; volle  intraprendere con fretta la sua guerra disponendo  che le legioni , tolto il campo invernale  a Piacenza   fossero condotte  a Rimini entro le “Idi di marzo”, per portarle attraverso il valico dell’Appennino, in Etruria sulla via Flaminia a lui nominata e da lui  costruita da censore tre anni prima, da Roma a Rimini  . Preparava la sua gloria di  guerra correndo verso suo destino di tragedia , nella forma della  presa ineluttabile e   vendicatrice della storia  : lo aspettava nell’armata di Annibale , con ira ed ansia  di vendetta,   Ducario regolo insubro delle schiere celtiche  del Cartaginese.

 Al campo di Annibale –  Già oltre Lucca e  Pistorìa, in Etruria,  le schiere che Boido e Galato avevano portato,  Orobi dalle montagne , Celti  della “Città sul monte “ ed Insubri  della distrutta  Acerrae,  furono  aggregate agli Insubri che con i Boi, e contingenti Liguri  ed Etruschi,  sollecitati ad antiche alleanze,  costituivano in fanteria e cavalleria una componente solida dell’armata del cartaginese . 

“Abbiamo ritrovato quell’esercito che ha attraversato le Alpi aggregato alla lotta dei nostri popoli contro il dominio romano” –ebbe a dire all’amico Lug , giovane guerriero celta di stirpe orobica,  il ligure  Sead, orgoglioso di ritrovarsi tra gli armati liguri  dei suoi  villaggi apuani . 

“Ed abbiamo rincontrato il grande stratega Annibale– rispose Lug –  che ci ha confermato la sua fiducia, come allora che gli  fummo scorta e guida sui passi alpini ; personalmente  ha voluto riconoscere  come capi di armati mio padre  Boido con i suoi “orobi” e Galato regolo rinomato della città di  Acerrae. Grande Annibale!  … anche i suoi strateghi  dicono di lui : “ .. lui è grande.. nei sui confronti tutti noi  siamo dei ragazzini ..si preoccupa di ogni dettaglio … ha già imparato a conoscere  la metà dei celti  per nome …!  ”Ed effettivamente Annibale conduceva le sue grandi imprese studiandone  nei dettagli le  scelte.

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