Con lo zaino e la tonaca: don Patrizio, il prete che accompagna i ragazzi tra montagna e preghiera

Don Patrizio Carminati si racconta con sincerità, parlando della sua vocazione, delle sfide pastorali e dell’importanza dell’oratorio, cuore pulsante della sua missione.
5 Luglio 2025

Ha 44 anni, originario di Corna Imagna, è prete da 19 e da pochi mesi è il nuovo parroco di Lallio: don Patrizio Carminati si racconta con sincerità, parlando della sua vocazione, delle sfide pastorali e dell’importanza dell’oratorio, cuore pulsante della sua missione. “Sono diventato sacerdote il 3 giugno 2006. In questi 19 anni ho vissuto tante esperienze: per sette anni sono stato curato a Vertova, poi per undici anni a Pedrengo. Da qualche mese ho iniziato un nuovo cammino a Lallio, una realtà diversa ma stimolante”.

“Torno in valle raramente – racconta -, principalmente per trovare la mia famiglia o in occasione di qualche festa, perché gli impegni pastorali mi tengono spesso lontano. Ma sono molto legato alla Valle, come ogni valdimagnino: è la mia Valle, ci sono legato ed affezionato. La Cornabusa per me rappresenta un legame viscerale, cerco di farle visita almeno una volta all’anno“.

Il seme della vocazione è germogliato a Locatello: “L’oratorio con don Francesco è stato fondamentale. Le attività, lo stile, i ritiri di preghiera… tutto mi ha portato verso questa scelta. A 18 anni sono entrato in seminario, dopo il liceo scientifico al Mascheroni. L’ultimo anno l’ho vissuto già nella tappa preupedeutica: frequentavo ancora le lezioni, ma non avevo esami o impegni formali, e questo mi ha permesso di fare entrambe le cose. Le vere lezioni e gli esami sono cominciati poi con l’ingresso in teologia”.

“La parte che amo di più del mio lavoro è il contatto con i ragazzi e i bambini. È un pezzo importante della mia vocazione e in cui mi ritrovo profondamente. Certo, con i miei 44 anni, ogni tanto faccio un po’ di fatica: la differenza generazionale si sente. Ma credo che questa sia la parte più bella e più ricca di soddisfazioni”. Don Patrizio è convinto che i giovani siano essenziali per la Chiesa: “Se la Chiesa non torna ad essere giovane, rischia di morire in se stessa”. Con i ragazzi ha costruito legami solidi e duraturi: “Ora a Lallio sono qui da pochi mesi, quindi il lavoro è lungo: sono relazioni che nascono nel tempo. L’esperienza che ho avuto a Pedrengo mi ha insegnato proprio questo: ho iniziato a raccogliere i frutti più maturi solo dopo sette, otto anni. Questo non vuol dire che prima mancassero soddisfazioni, ma che con il tempo diventa più facile rapportarsi, entrare in una familiarità e in una sintonia diversa, più profonda”.

Le sue giornate variano sempre ma generalmente: “La mattina è il momento dedicato al lavoro più “burocratico”: preparazione di incontri, celebrazioni, documenti. Il pomeriggio è per le relazioni, per la presenza in oratorio, per incontrare chi passa. La sera, spesso, è occupata da incontri e riunioni”. Ma è proprio nelle piccole cose quotidiane che don Patrizio trova la bellezza del suo ministero: “Nelle relazioni di ogni giorno c’è una straordinarietà che entra nella tua vita. Quando riesci a dedicare tempo agli altri, stai già vivendo qualcosa di grande”.

Tra le esperienze che lo hanno segnato c’è la Giornata Mondiale della Gioventù, vissuta con i ragazzi a Lisbona due anni fa: “È stato il culmine di un cammino durato anni. Avevo partecipato anche a Madrid, nel 2011, ma a Lisbona c’era una consapevolezza diversa, sia da parte mia che da parte dei giovani. Tre giorni intensi, scanditi da tre momenti di incontro con il Papa: la Via Crucis del venerdì, la veglia con quasi due milioni di giovani il sabato e, infine, la messa conclusiva della domenica. I giovani avevano tra i 18 e i 22 anni. Queste sono esperienze che lasciano il segno. E se anche noi preti facciamo fatica a stare “sul pezzo” con le nuove generazioni, sono proprio loro a permetterci di restare in contatto con il presente”.

don patrizio montagna - La Voce delle Valli

“Nel tempo libero mi piace andare in montagna – anche se, ammette, riesce a viverla troppo poco. È anche un grande tifoso della Juventus  “una volta andavo allo stadio, oggi un po’ meno. D’estate, invece, accompagno i ragazzi nelle vacanze in montagna: sono momenti belli, di condivisione e libertà“. Parlando del futuro della sua comunità, guarda avanti con speranza: “Vorrei che Lallio potesse sentire un senso di appartenenza forte. Vivo in un contesto più cittadino, dove questo legame si sente meno rispetto ai piccoli paesi. Ma con uno stile di accoglienza e di vicinanza, penso che sia possibile far percepire il valore della comunità anche qui”. A colpire don Patrizio, nei suoi anni di ministero, sono state anche le differenze tra una comunità e l’altra. “Vertova è una realtà di valle, con esigenze e ritmi diversi”. Con un sorriso racconta: “Ricordo che lì incontravo i papà appena usciti dal cantiere. A Pedrengo, invece, arrivavano in giacca e cravatta: mi sembrava un altro mondo. Anche Lallio ha le sue particolarità: è geograficamente incastrata tra superstrade, vicina a Bergamo. Tutto questo incide. La fede cambia volto: nei paesi di montagna è legata a tradizioni più antiche, qui si esprime in modo diverso. Più sommesso, forse, ma non per forza meno profondo”.

“A chi volesse intraprendere il mio cammino direi che è una strada bellissima, faticosa, ma piena di soddisfazioni. Ho avuto la fortuna di accompagnare quattro ragazzi all’ordinazione sacerdotale. È emozionante vedere qualcuno realizzare il suo “sì”, il sogno di una vita”. Don Patrizio custodisce due frasi che lo accompagnano: “La prima è di Geremia: ‘Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca’. È come dire: vai, parla, testimonia. Non preoccuparti, ci penserò io. L’altra è: ‘Volere è potere’. Perché troppo spesso ci fermiamo al ‘non posso’, ‘non riesco’. Ma se lo vuoi davvero, puoi farcela”.

“Questo è un anno straordinario, l’anno del Giubileo. Nelle nostre parrocchie forse lo si avverte poco, ma quando mi è capitato di andare a Roma e trovarmi davanti alla Porta Santa, se lo vivi con fede, si percepisce un’emozione autentica, difficile da spiegare”. Infine, un ricordo particolarmente gioioso legato all’elezione del nuovo Papa: “Durante il conclave ho invitato tutti i chierichetti a casa mia per seguire insieme quel momento speciale. Abbiamo vissuto l’attesa della fumata nera e poi l’emozione della fumata bianca, e appena si è annunciato il nuovo pontefice, siamo corsi a suonare le campane, proprio come si faceva una volta, tirando le corde a mano. È stato un momento semplice, ma profondamente bello e carico di gioia. Ci si chiede sempre com’è il nuovo Papa, cosa porterà, ma io credo che lo Spirito Santo agisca sempre nel modo giusto, al momento giusto”.

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