Don Gianluca Bresciani, 50 anni, da 8 anni parroco dell’Unità Pastorale di San Pellegrino, è un prete “anti-tradizionalistico”, aperto sulla possibilità del matrimonio all’interno dell’ambito pastorale, si impegna nel cercare di apportare cambiamenti e innovazioni nel mondo religioso per superare un vecchio retaggio. E trova anche il tempo di dedicarsi alla passione per la musica e per lo sport.
La tappa spartiacque nella vita di un prete è l’arrivo della vocazione, momento cruciale che segna l’inizio del cammino verso il Dio: “La vocazione è nata quando ero piccolo. Sia l’ambito familiare che quello oratoriale di Villongo, mio paese natale, mi hanno trasmesso un forte aspetto di spiritualità e di preghiera, sin da piccino ero inserito in queste referenze caritative. Poi ho vissuto alcune esperienze di attività in oratorio e intrapreso dei viaggi che hanno ulteriormente intensificato questo mio desiderio, già presente anche nella partecipazione alla vita di Chiesa dal momento che ricoprivo il ruolo di chierichetto”, racconta don Gianluca, che prosegue spiegando ciò che lo ha condotto in seminario, luogo che gli ha permesso di concretizzare la sua vocazione: “Alcuni riferimenti sacerdotali che avevo hanno fatto sì che io entrassi in seminario già in prima media; lì ho intrapreso il percorso dei Passionisti che è durato 7 anni, poi mi sono spostato nei Diocesani per altri 7 anni, consentendomi di diventare effettivamente sacerdote”.
Fondamentale nel percorso di consapevolezza prima della scelta è il sostegno della famiglia che, nel caso di don Gianluca, ha mostrato particolare entusiasmo e fierezza: “Siamo 4 fratelli. Il papà è morto quando eravamo tutti piccoli ma, da quanto racconta la mamma, sarebbe stato come lei entusiasta del mio percorso. Tutti noi 4 abbiamo avuto un’esperienza di seminario, ma io sono il solo ad essere diventato parroco, motivo di orgoglio maggiore”, spiega il don, che continua facendo un bilancio di quelle che sono le gioie derivate dalla scelta fatta e quali, invece, la principali difficoltà che la vita pastorale comporta: “L’esperienza sacerdotale mi ha fatto vivere 3 momenti particolarmente felici: il primo risale all’ambito oratoriale come curato nelle parrocchie di Città Alta, dove ho sperimentato l’inizio del ministero e un fruttuoso lavoro pastorale di contatto e di crescita; il secondo fa riferimento al seminario, dove sono stato chiamato come vicerettore del liceo e ho ricoperto il ruolo di educatore, direttamente in relazione con i ragazzi in discernimento con l’obiettivo di aiutarli a crescere come uomini; la terza dimensione è quella che sto vivendo da 7 anni come parroco all’interno della pastorale sul territorio di San Pellegrino ed è qui che riscontro le principali difficoltà. Gli aspetti positivi della mia vita attuale sono certamente legati all’attività di testimonianza del Vangelo che mi consente un contatto con la comunità, ma i momenti difficili sono numerosi e specialmente ascrivibili a fattori burocratici, amministrativi ed economici, per il carico di intensità alla quale siamo sollecitati a causa del contesto storico in cui si colloca la figura del prete”.
Oltre alle difficoltà fisiologiche della quotidianità ci sono state anche difficoltà legate alla scelta di diventare prete, momenti bui di incertezza e dubbi: “Ho avuto attimi di fatica in cui pensavo di fare altro, in particolare ci sono stati 2 momenti di crisi. Il primo momento risale all’epoca in cui volevo diventare insegnate o medico, era questa la mia proiezione per il futuro, ma poi gli studi mi hanno portato altrove. Il secondo momento fa riferimento al tema dell’innamoramento, vicenda che mi è servita a farmi approcciare a questo sentimento umano e a portarmi, volutamente e convintamente, alla scelta di fare il prete. Credo che quella amorosa sia una dimensione dentro la quale passare, per chi la vive bene lascia veramente la possibilità di intraprendere con più empatia il suolo sacerdotale” dichiara don Gianluca, che spiega poi come ha fatto a superare questi momenti di crisi: “Li ho superati con l’aiuto della figura del padre spirituale, con la preghiera e grazie al mio percorso personale di acquisizione di importanti consapevolezze. Non ho vissuto il fatto di non avere una donna e di non svolgere la professione a cui aspiravo come delle rinunce. La scelta di fare il prete non è stato rinunciare a qualcosa, ma scegliere qualcuno”.
Don Gianluca si esprime poi sul tema del matrimonio attraverso un racconto sincero, prendendo una posizione nettamente in contrasto con la tradizione a cui la Chiesa Cattolica fa riferimento: “Io credo che attualmente possano coincidere delle scelte che vadano in ottica di conciliare la vita sacerdotale con una referenza personale. Per diverso tempo anche io mi sono affidato alla tradizione della Chiesa, ma in fase più matura ho raggiunto la consapevolezza che questa potrebbe essere una strada da percorrere, ovvero il fatto di lasciare la scelta ai preti di avere una relazione personale d’amore, ovviamente scelta non obbligante. Altri pensano che la costruzione di una famiglia sottrarrebbe del tempo alla vita sacerdotale, ed effettivamente questo parrebbe essere l’unico problema che trovo, ma al tempo stesso credo che potrebbe diventare un sostegno per poi vivere la pastorale e il ministero al meglio. Ritengo che molti ragazzi che hanno rinunciato alla vita religiosa, se avessero avuto la possibilità di realizzarsi a livello familiare adesso sarebbero dei preti”.
Altro tema delicato e molto discusso è quello della ricchezza materiale della Chiesa: “Certamente la Chiesa può essere vista nella sua ricchezza, come possessore di beni che sono però anche ricchezze dal punto di vista culturale e storico, frutto di un estro umano interessante. In realtà il problema non è il fatto che la Chiesa possa avere tutto questo, quanto l’utilizzo che ne fa: se questi beni vanno a beneficio di tutti e vengono condivisi senza diventare un arricchimento a sfavore di altri, allora non sussiste il problema. Penso che ci siano molti giudizi affrettati e una conoscenza ridotta, si tende a vedere l’opera buona come un fatto scontato e l’opera cattiva come uno scandalo: è esattamente ciò che avviene nella società odierna, ma si tratta di una lettura inclemente, sbagliata e fuorviante. È sbagliato pensare che se uno cade allora debba cadere l’intera struttura” dichiara don Gianluca, che conclude l’argomentazione confessando di essere promotore di alcuni tentativi di cambiamenti all’interno del mondo pastorale:
“La Chiesa deve necessariamente aprirsi e cercare di attuare questo è una fatica che alcuni stanno compiendo per superare un retaggio che ci portiamo dietro. Si vorrebbe osare di più ma non si riesce, vorremmo proporre modifiche in ambito liturgico, nei sacramenti e sul tema del matrimonio, ma abbiamo degli schemi fissi e ragioniamo secondo una tradizione antica, trovandoci davanti ad una situazione di fragilità”. Il tema è quanto mai attuale ed evidenzia la necessità di scardinare vecchi principi, cercando di promuovere una riforma ecclesiastica e di muovere qualcosa partendo dalla base dell’immensa struttura e apportando cambiamenti che possano giovare alla Chiesa stessa, magari contribuendo ad avvicinare i giovani al mondo religioso.
Impegnato in questo difficile e faticoso obiettivo, don Gianluca Bresciani trova anche il tempo per dedicarsi a vecchie passioni, come quella per la musica e per lo sport in generale: “Sono da sempre appassionato a tante discipline e arti, in particolare la musica e il canto che mi accompagnano sin da quando ero piccolo. Questi interessi si sono tradotti nella possibilità di cantare e suonare in vari ambiti e arrivare anche ad accompagnare le compagnie teatrali nei 3 luoghi fondamentali sopracitati: ho costituito 9 musical in Città Alta, 3 in seminario e 2 qui a San Pellegrino, certamente coadiuvato da persone competenti dal punto di vista registico. Generalmente io prendo parte al musical in forma di responsabile, di accompagnatore e di attore. L’altra dimensione per me importante a livello di interessi è quella dello sport, che ho praticato fino a qualche anno fa ed ora ho interrotto a causa dell’età e degli impegni. Io ho sempre giocato a calcio, a pallavolo e frequentato corsi di atletica. In particolare il calcio mi accompagna da quando avevo pochi anni, ho anche fatto parte di una squadra che militava in campionato e ho avuto la fortuna di essere segnalato dall’ Atalanta in terza media, ma gli studi mi hanno portato altrove. Non me ne pento perché avevo già giocato tanto e mi sono comunque divertito molto, se fosse diventato un lavoro probabilmente avrei perso l’aspetto ludico”.