Articolo estratto da "Quaderni Brembani n.20" e scritto da Adriano Epis.
Parlando di corrispondenza postale e prigionieri, vorrei far riferimento non ai nostri prigionieri, bensì a quelli che noi tenevamo prigionieri, cioè gli austro-ungarici. Propongo un documento, quello del maggiore Hugo Sturm che, in data 1 Gennaio 1919, rivolge alla moglie Elsa. Il Maggiore comunica alla moglie di essere prigioniero, alloggiato presso l’Hotel Como di San Pellegrino, dopo essere stato a Bellagio e Verona. Riporto questa lettera in fotocopia, dalla quale si può dedurre, come lui asserisce, che il trattamento era molto buono. Parla poi di altre cose tra cui i suoi bambini e il sussidio che riceve sua moglie.
Questa cartolina postale mi è stata passata dal dottor Valeriano Donati, fratello di Gianni, farmacista originario di Piazza Brembana, anche lui come me collezionista di cartoline ed altri cimeli. Un’altra cartolina, pubblicata dal Centro Storico Culturale sul volume La fine del sogno, riporto sul retro, per trascrizione di altri prigionieri austro-ungarici alloggiati all’Hotel Como, il menù da loro preparato per il Natale 1918.
Oltre a questi scritti di prigionieri che alloggiavano all’Hotel Como, colgo l’occasione per includere la cartolina di un altro prigioniero, un italiano in mano agli inglesi: più precisamente si tratta di mio padre che, il 20 Giugno 1944, scriveva a mia madre. Ho voluto inserire questa cartolina per rendere omaggio ai miei genitori: nel riportare la fotocopia, faccio notare che sulla cartolina, sono apposti i timbri della censura tedesca e inglese. La posta doveva infatti essere visionata da entrambi i contendenti, per evitare che qualsiasi notizia riguardante il conflitto potesse trapelare da una parte o dall’altra.
Certamente, nella seconda guerra mondiale, mio padre prigioniero nel campo di concentramento n. 208 stava peggio dei prigionieri detenuti all’Hotel Como durante la prima guerra mondiale, anche perché i prigionieri austro-ungarici, scrivevano a guerra già finita, mentre per mio padre la guerra era ancora in corso. In questo frangente mi torna alla memoria, e voglio raccontarlo, come fu fatto prigioniero mio padre. Quando gli inglesi occuparono l’isola di Pantelleria, avvisarono tutti i militari del contingente italiano fatti prigionieri di recarsi sulla spiaggia coprendosi con un lenzuolo bianco, per scoraggiare le truppe da sbarco, formate da varie etnie e ubriacate per l’occasione, a fare soprusi e angherie. Sulla spiaggia, mio padre incontrò il suo amico Giannino Gherardi, suocero del nostro socio Alberto Giupponi, scomparso il 14 marzo 2020: si abbracciarono piangendo, convenendo che “la guerra era persa”.
Della Posta Militare vorrei dire qualcosa in più, benché avrei dovuto dire e pubblicare qualcosa di più sul volume edito dal nostro Centro Culturale dal titolo Voci dall’inferno. Purtroppo, per mia mancanza, sono arrivato in ritardo. La Grande Guerra scaraventò per la prima volta milioni di persone lontano da casa. Le lettere furono l’unico modo di sentirsi vicini ai propri cari. Ma ecco cosa disse l’accademico e padre costituente Piero Calamandrei che “se ne intendeva” (era stato ufficiale volontario in fanteria durante la Prima guerra mondiale). Il Calamandrei raccontava l’importanza, per il morale dei soldati, delle lettere e delle cartoline che portavano la voce delle famiglie lontane: “In verità, o signori, la posta è il più gran dono che la patria possa fare ai combattenti: perché in quel fascio di lettere che giunge ogni giorno fino alle trincee più avanzate, la patria appare ai soldati non più come una idealità impersonale ed astratta, ma come una lontana moltitudine di anime care e di noti volti, in mezzo alla quale ciascuno riconosce un bene che è solamente suo, uno sguardo che soltanto per lui riluce, una voce che per lui solo canta”.
Io avendo assolto al servizio militare nel corpo degli Alpini, ho provato, anche se in tempo di pace, l’importanza di ricevere da casa qualche missiva, anche solo una cartolina, e mi si stringeva il cuore vedendo che qualche mio compagno non riceveva mai nulla. In questo frangente, mi ritorna alla mente mia suocera, Luigina Rodeschini, del 1925, una persona davvero squisita, faceva la portalettere, quando distribuiva la posta, vi era un bambino che l’aspettava tutti i giorni, ma non riceveva mai niente, allora lei ogni tanto gli scriveva una cartolina firmando “la postina”, e il bimbo correva, tutto contento, a far vedere la missiva alla mamma. Sapere che qualcuno si è ricordato di te, fa bene al cuore!
Proponiamo alcuni dati sui servizi postali dei vari stati durante la prima guerra mondiale:
- Durante l’ottobre 1914 il servizio postale dell’esercito britannico smistò 650 mila lettere e 85 mila pacchi alla settimana; nel 1916 furono spediti al fronte quasi 11 milioni di lettere e 875 mila pacchi alla settimana.
- In Francia furono inviate durante il conflitto circa 10 miliardi di missive.
- In Germania mediamente vennero smistate durante la guerra ogni giorno 16,7 milioni di cartoline militari, lettere e pacchi dal fronte in patria e viceversa. Tra l’agosto del 1914 e il novembre del 1918 furono spedite 28,7 miliardi di missive tra il fronte e la patria.
- In Italia furono scambiati tra il fronte e il resto del paese circa 4 miliardi tra lettere e cartoline: un numero incredibile se si pensa che nel 1911 il tasso di analfabetismo, dopo mezzo secolo di Stato unitario, era ancora del 43,1%.
Questi sono solo alcuni dati salienti di quel periodo.
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