Nel mondo delle api con Lino Mostacchetti: il miele di San Pellegrino è da medaglia d’oro

A San Pellegrino c’è chi ha deciso di dedicare anima e corpo alle api: Lino Mostacchetti, apicoltore da 40 anni. La passione trasmessa dal padre.
8 Febbraio 2023

“Se le api sparissero, all’uomo resterebbero quattro anni di vita sulla Terra” è la frase attribuita ad Einstein circa l’importanza degli insetti giallo-neri per la vita sul Pianeta. A San Pellegrino, però, c’è chi però ha deciso di dedicarsi anima e corpo a questi piccoli animali così preziosi: Lino Mostacchetti è il proprietario dell’omonima azienda di apicoltura.

“Io sto ad Alino, siamo a circa 680 metri d’altezza” spiega lui, 64 anni, pensionato ma non per questo resta con le mani in mano, anzi: “Gestisco questa grande passione da decenni, devo dire che si evolve con più entusiasmo col passare del tempo”. Da dove nasce questo peculiare interesse? “Mio padre aveva alcuni alveari, produceva qualche chilo di miele a livello famigliare: era un’attività molto più semplice, non si accudivano le api come ora. La passione viene da lì, ho sempre trovato questo mondo affascinante, quando entri in questa nicchia ti coinvolge in modo completo, la passione aumenta e l’ho arricchita con vari corsi di apicoltura, libri a tema, ero affiancato ad un apicoltore più esperto e fai di tesoro di tutto questo”.

La formazione sul campo richiede tempo e non sempre basta: “Certo, ci sono sempre cose nuove, innovazioni e difficoltà, come un acaro che negli anni ‘90 è arrivato dall’Est e non si sapeva come gestirlo, è stato una batosta per tutti. Ora sappiamo come affrontarlo e si riesce ad andare avanti, soprattutto da noi, la nostra è ancora una zona felice perché non ci sono colture intensive, l’apicoltura in Valle può essere sana”.

Quanto sana possa essere, lo dimostrano i risultati ottenuti da Lino: “Da alcuni anni produco alcuni tipi di miele e li presento ai concorsi dell’Associazione Apicoltori provinciale e a concorsi regionali organizzati da enti che formano assaggiatori di mieli, persone che hanno sostenuto esami apposta per poter giudicare i prodotti”. Un mondo sconosciuto ai più, ma molto affascinante: “Di solito presentavo miele di castagno, quest’anno ne ho presentati altri, tra cui il miele di alta montagna, che ha vinto il premio della Rosa d’Oro nella sua categoria al concorso Regionale: si premiano tutti i tipi di miele, e il migliore vince questo trofeo. Si presentano i campioni di miele e vengono assaggiati da 30 valutatori, formati a livello nazionale, vengono da tutta Italia per assicurarne la neutralità. La Rosa d’Oro è il riconoscimento più ambito dagli apicoltori – spiega Lino – non succede tutti gli anni di arrivare a un traguardo simile, ci vogliono tanto lavoro e passione”.

Un’arte fortemente legata al territorio e alle stagioni, a stretto contatto con i ritmi naturali. “Io adesso ho una settantina di famiglie: verso marzo inizio a fare nomadismo, le sposto dove so che ci sono le fioriture, a seconda delle stagioni. In inverno, in questo periodo, fino a gennaio, il lavoro da fare è relativo – racconta Lino – pulisco le cassette, preparo i telai, gestisco maggiormente il laboratorio per il miele. Verso metà febbraio, se inizia ad esserci una temperatura mite, faccio le prime visite, controllo se c’è abbastanza cibo perché non ci sono fiori e altrimenti le api morirebbero. Si fa una visita una volta a settimana, se non hanno scorte bisogna intervenire artificialmente per evitare morie”.

L’attenzione dell’apicoltore deve essere sempre alta, gli animali vanno curati con grande attenzione. “A seconda del tempo, caldo o meno, si valuta la fioritura e da lì inizia un lavoro costante, non si può pensare di lasciare gli alveari al loro destino, occorre accudirli sempre, da soli non vivrebbero. Ora gli alveari sono a casa, ma da marzo li sposto e qua ne tengo solo pochi, a seconda delle fioriture, si comincia col tarassaco, poi robinia, millefiori e così via”.

Un iter che si padroneggia solo grazie all’esperienza e Lino ne ha da vendere: “Il processo è molto scrupoloso, dopo 40 anni di attività se hai l’occhio capisci se un alveare ha bisogno o meno, se ci sono carenze o bisogna sostituire la regina, o bisogna evitare la sciamatura, è un lavoro complesso. Solo dopo alcuni anni e corsi costanti e studio si capiscono i meccanismi, è fondamentale avere qualcuno che ha avuto esperienza e può facilitarti nella gestione della famiglia, ma questo arriva dopo una teoria profonda. Adesso ci sono corsi a livello provinciale, ce n’è sarà uno tra poco a San Giovanni Bianco, si tratterà di teoria e di una parte pratica, con il sostegno dall’Associazione Apicoltori di Bergamo. È una cosa positiva per le nuove leve che iniziano”.

Fortunatamente, l’apicoltura è piuttosto popolare. “Devo dire che in questi anni ci sono tanti giovani, ad esempio io da un paio di anni sono seguito da un ragazzo di Dalmine, ogni tanto viene quando apro gli alveari e fa pratica, che è comunque fondamentale, evita tutti quegli errori di inesperienza”. Certo, per poter vivere di apicoltura la strada è difficile e Lino lo sa: “Oggi come oggi, per alcuni è un lavoro vero e proprio, ma per avere un reddito sufficiente devi avere 200-250 famiglie, diventa una cosa impegnativa, ma ci sono comunque ragazzi che si approcciano a questa attività, capace di dare tante soddisfazioni”.

 

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