Ospedale Papa Giovanni: padre, madre e figlia in prima linea contro il coronavirus

Raffaello Baitelli, la moglie Nelly e la figlia Valentina: tutti e tre infermieri, residenti a Selino Alto e impegnati in prima linea all'ospedale Papa Giovanni nella battaglia contro il coronavirus.
24 Marzo 2020

Sono centinaia di migliaia i medici e infermieri ogni giorno in prima linea. Un grande battaglione in guerra contro un nemico invisibile agli occhi, ma dalle conseguenze devastanti e spesso fatali: il coronavirus. Come ben noto, Bergamo è una delle province più colpite dal contagio di questa pandemia e l'ospedale Papa Giovanni XXIII è ben presto diventato l'occhio del ciclone di un'emergenza sanitaria mai vista prima d'ora. E proprio qui accade che fra i guerrieri in camice bianco ci sia anche una famiglia intera (o quasi) a lottare in corsia: padre, madre e figlia, tutti infermieri.

La famiglia di Raffaello Baitelli, 53 enne di Sant'Omobono Terme, è come quella di tante altre: una moglie, Nelly Rota coetanea del marito, la figlia Valentina di 28 anni e due figli, Giacomo e Andrea – rispettivamente 20 e 18 anni. Una vita tranquilla fra le corsie dell'ospedale – Nelly in neurologia, Raffaello in chirurgia e Valentina in cardiologia – e la casa a Selino Alto, una frazione di Sant'Omobono Terme in Valle Imagna, dove Raffaello era solito fare sport. Ma da quella fatidica domenica di fine febbraio, quando il Covid-19 aveva appena iniziato a mostrare il suo volto, mamma, papà e figlia sono stati trasportati in un vortice inaspettato, ben presto diventato una battaglia.

Una cosa a cui non eravamo minimamente preparati – racconta Raffaello – ci siamo trovati dalla notte al giorno a doverci rivoluzionare e con noi anche tutti i medici dell'ospedale. Io sono un infermiere che ha più esperienza nei supporti respiratori, chiamati CPAP, e non di rado mi trovo ad insegnarne l'uso a medici che solitamente non hanno nulla a che fare, come infettivologi e neurologi. Gli operatori sanitari, tutti, si sono dovuti reinventare. I pazienti sono aumentati così tanto che l'ospedale è diventato una sorta di grande reparto, dove tutti collaboriamo per combattere questo virus”.

Turni massacranti, ferie e permessi rimandati a data da destinarsi: non solo nelle mansioni, ma operatori e medici hanno dovuto reinventare anche la propria vita quotidiana per dedicarsi totalmente alla necessità.Spesso resto oltre il mio turno – confessa Raffaello – Non abbiamo orari, quando timbri vai a casa. Quando torno a Selino Alto, ho la testa da tutt'altra parte e cerco di recuperare le forza per tornare il giorno seguente in ospedale a lavorare. La cosa più bella e forse rinfrancante di quando vai a lavorare è timbrare e andare a farsi la doccia bollente nello spogliatoio. Per un breve attimo, lava via tutto”.

Un'esperienza analoga vissuta anche dalla moglie Nelly e dalla figlia Valentina.Ci facciamo forza a vicenda – racconta Raffaello – Io e mia moglie viviamo solamente per andare a lavorare e riposarci per tornare a lavorare. Senza soluzione di continuità. La nostra vita è questa, ed è anche quella di mia figlia. Non è facile, sono turni massacranti, un lavoro con modalità mai sperimentate prima, è psicologicamente pesantissimo”. Un importante esempio di spirito di adattamento, quello dimostrato da Raffaello e dalla sua famiglia, ma anche da tutti gli altri operatori. “A Bergamo, per fortuna, c'è una grande preparazione nel personale sanitario. E poi noi abbiamo la testa dura bergamasca, quando sei in guerra combatti e basta”.

Non sarà più come prima – commenta – Quando finirà tutto, chi riuscirà ad uscirne sarà una generazione di infermieri 5.0, indistruttibili, non avranno paura di niente. Ma tutti faremo fatica, saremo tutti psicologicamente provati, come o peggio di adesso”. Aggiunge poi, parlando di chi – in barba al decreto – continua a dedicarsi alle quotidiane attività all'aria aperta come niente fosse: “Le persone non riescono a capire. Sono abituati alla libertà: è quella che manca. Io, però, inviterei tutti a fare un tour con me a vedere com'è grave la situazione in ospedale e come lavoriamo. Forse, così, se ne renderebbero conto”.

I figli Giacomo e Andrea, invece, affrontano l'emergenza buttandosi a capofitto nello studio. “Mi sembrano abbastanza sereni, nonostante tutto – spiega – Adesso sono segregati, in full-immersion di studio, perché il programma va avanti nonostante il virus: Giacomo frequenta la facoltà di Matematica all'Università Bicocca di Milano, mentre Andrea sta preparando la maturità. Fortunatamente loro hanno gli svaghi e la vita sui social. Mia figlia Valentina, invece, ha dovuto momentaneamente arrestare la sua lotta per motivi di salute”.

Coraggio, senso del dovere e spirito d'adattamento. Ma anche paure, che scendono in secondo piano agli occhi dell'emergenza. “Le paure? Le esorcizziamo – spiega Raffaello – Nel mio inconscio so a cosa andiamo incontro, so che potremmo contrarre il virus e morire anche noi, come abbiamo visto morire tante altre persone. Non ci pensi. Abbiamo la testa talmente piena che siamo un po' fatalisti: ovviamente speriamo di scamparla, come tutti, ma quando la prenderemo ci penseremo. Abbiamo un senso del dovere talmente alto che ci sembra giusto fare così. Un'altra paura, legata alla speranza, è quella di raggiungere il picco. Per adesso, però, non si vede ancora la luce in fondo al tunnel. E allora ti ci butti a caterpillar e a testa bassa, pensi e ti concentri solo sull'oggi e non sul domani”.

Le speranze di Raffaello e della sua famiglia sono quelle di tutti. “La mia speranza è che si riescano a trovare una terapia e un vaccino che cambi la prognosi di chi viene colpito in maniera più aggressiva. La mia speranza è che si torni alla normalità – spiega – Qui a Bergamo l'hanno capita che non è una 'semplice influenza', perché il virus ha toccato ognuno di noi direttamente o no, che siano cari o amici. Dovremmo essere un monito per il resto dell'Italia: non deve succedere ciò che è successo a Bergamo. Io lo spero”.

Noi abbiamo voglia di normalità – confessa commosso – La mia famiglia ha voglia di normalità, come tutti penso. Io e mia moglie abbiamo un forte senso del dovere ed è così che abbiamo cresciuto anche mia figlia: anche lei è una caterpillar, ha seguito le mie orme. È cresciuta con dei valori e delle responsabilità. Siamo consci di rischiare la vita scendendo in prima linea, ma il nostro senso del dovere è superiore anche a questo, anche a te stesso. Non ci sentiamo eroi: siamo sempre stati così. E lo faremo fino alla fine”. Alla domanda se tornerà a correre una volta che la tempesta sarà finita, Raffaello, sportivo con alle spalle diversi titoli italiani di atletica, ha replicato: “Sicuramente! Mi allenerò ancora di più: tornerò l'infermiere più veloce del mondo.

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