Valsecca e il suo Santo Crocifisso, una storia ininterrotta di relazioni intense, una frequentazione quotidiana tanto artistica quanto spirituale. Dinanzi alla venerata effigie del Salvatore morente, attribuita, secondo la tradizione, a Frà Giovanni da Reggio, portata in Valle da un tale Bortolo Belli di Valsecca di ritorno da un viaggio sul lago Maggiore, custodita nella piccola cappella edificata accanto alla Chiesa Parrocchiale quattrocentesca, generazioni di fedeli si sono prostrate alla ricerca della salute dell’animo e del corpo, meditando sul mistero più profondo dell’esistenza umana, cioè quello della sofferenza, della precarietà e della morte.
Il Cristo che si abbassa, assumendo in tutto e per tutto, fuorché per il peccato, la condizione dei figli di Adamo, abbracciandola nel tempo e nell’eternità: una salvezza guadagnata nel martirio, versando il suo preziosissimo sangue, raccolto con cura, all’interno di calici misericordiosi, da tre graziosi angioletti, affinché nulla del dono eucaristico venga sprecato.
Un’immagine straziante e vincente, una caduta trionfante, una morte infamante, scandalosa e folle, divenuta centro e cuore pulsante di una progenie redenta, di una speranza offerta e profusa generosamente: “Nei lineamenti di quella faccia adorabile si legge lo spasimo dell’atroce supplizio, santificato da una pazienza divina, addolcito da quella ineffabile misericordia, che pose sulle labbra del morente Gesù la preghiera del perdono per gli stessi crocifissori” (Il Santo Crocifisso che si venera in Valsecca, Stabilimento Tipo-Litografico Daniele Legrenzi, Bergamo, 1884).
Un’immagine “artisticamente bella”, in quanto vera, del Signore spirante, prossimo e vicino. Fissare il Crocifisso, lasciandosi attirare a Lui, sentendosi “toccare il cuore di tenerezza e di compunzione”, ricordando “all’anima l’intera storia dell’amore di un Dio, che per la salvezza delle sue misere creature volle vivere e morire sazio di obbrobrii e sitibondo ancora di pene”. “Il Mediatore, il Pontefice, la Vittima del genere umano” dialoga, in un modo tutto particolare, tramite la sacra rappresentazione, nel segreto della preghiera e nella manifestazione pubblica devozionale, con “i semplici, i poveri, gli umili” di Valsecca, genti abituate a rivolgersi al Crocifisso nei momenti di prova, di dolore e di fatica, “racco[gliendo] […] [n]elle sue Piaghe adorabili i gemiti e le suppliche dei […] fedeli che ricorrevano a Lui”.
Un affidarsi costante e incrollabile nel corso degli anni, sotto i dardi velenosissimi delle epidemie, ricevendo grazie e benefici insperati, miracolosi: “Vennero i giorni funesti delle pubbliche calamità e queste servirono nei disegni della Provvidenza a stringere ai piedi di Gesù Crocifisso l’intera popolazione di Valsecca e dilatare il culto di quella sua venerata immagine. La prima di tali circostanze fu il colera del 1836, e mentre faceva strage, specialmente in Lombardia, gli abitanti di Valsecca ebbero la santa ispirazione di rifugiarsi all’ombra pietosa del Santo Crocifisso, e furono salvi dal flagello. Anche nel 1849 il buon Gesù accolse benigno le suppliche di quel popolo devoto, e Valsecca fu interamente preservata dal contagio. Nel 1855 ricomparve il colera, e qui si ebbero due casi. Subito si pensò a rinnovare il pubblico ricorso al Santo Crocifisso, e non appena fu esposto e portato solennemente in processione cessò il colera in Valsecca […]. Lo stesso avvenne nel 1867. […] Venne esposto per otto giorni alla pubblica adorazione, e la Sacra Cappella era continuamente assediata dai fedeli non solo di questo villaggio, ma dei paesi ancora della valle, che venivano a ripararsi sotto le ali pietose della Croce”.
Al Crocifisso giungono ancora oggi appelli e preghiere “nelle circostanze di siccità e di piogge stemperate”, accompagnati dal “voto unanime di tutta la valle”. Usanze e credenze da studiare, da riscoprire nel loro profondo significato storico, evitando di ridurre la poesia e la meraviglia, insite nella sapienza religiosa, a espressioni difettose e immature della ragione: “Forse taluno di poca fede vorrà attribuire la cosa [la pioggia ristoratrice al termine di una processione] ad istantanea mutazione di atmosfera od a qualche altra causa naturale, per non riconoscere l’opera della potenza di Dio e l’efficacia della preghiera; ma costoro sono poveri ciechi degni di compassione; e non conviene ascoltarli. Il buon popolo che crede ed ama Gesù Crocifisso ascolti invece il sapiente consiglio che l’Apostolo Paolo dava ai Colossesi: Guardatevi bene che alcuno non vi rapisca la vostra fede con vani ragionamenti, con una scienza ingannatrice, secondo le tradizioni degli uomini e dei principi del mondo e non secondo Gesù Cristo”. Dal 1935, poi, è stato deciso di "far uscire" il Santo Crocifisso solo una volta ogni cinque anni, con festa solenne di una settimana in estate. La prossima sarà nel 2025.