Nuova puntata della rubrica "Vi racconto una fotografia" curata da Filippo Manini, musicista valdimagnino, direttore del Coro CAI Valle Imagna, compositore, educatore, amante della sua terra e da qualche anno appassionato di fotografia (qua il suo profilo Instagram se volete vedere i suoi scatti). Buona visione e lettura!
Ho sviluppato negli anni una passione viscerale per il Monte Serrada. Non è sempre stato così, anzi, in anni giovanili l’ho sempre un po’ snobbato. Mio papà mi ha sempre portato in montagna, sia su quelle nostrane che quelle più blasonate del Trentino, ma per me vincevano a mani basse le Dolomiti, questi meravigliosi scogli che svettano dal verde dei pascoli delle valli altoatesine, che si infiammano col sole agli orari limite e risplendono di una mistica aura luminescente durante le notti di luna.
Col passare del tempo però l’attaccamento al Serrada è andato facendosi sempre più forte, in maniera istintiva, viscerale, senza volontà. È un sentimento davvero particolare. Sarà che innesca potenti moti regressivi, e mi riporta ai primi passi con gli scarponi, alla scoperta di un mondo verticale sul quale inerpicarsi per dare adito a quel desiderio profondo di andare in cerca di un “oltre” rispetto all'orizzonte. Va da sé che, anche dal punto di vista fotografico, lo abbia ormai eletto ad uno dei miei soggetti principali.
Alla terra d’Imagna il Serrada mostra il suo lato più riservato. Nulla a che vedere con le eclatanze dolomitiche con le quali domina il Lario e la Brianza verso sud, e che gli conferiscono appieno il manzoniano titolo di Resegone (o Resegùn); nemmeno la possenza dei più dolci pendìi boscosi che guardano a nord verso Morterone, che pure riempirono di terrore il Cardinal Borromeo quando salì “in hunc remotissimum locum” per la visita pastorale del 1608, durante la quale, forse messo a malumore dal periglioso viaggio, strapazzò dai pulpiti le anime che attorno al Resegone vivevano laboriosamente.
A vegliare sull’Imagna (a meno che non ci si sposti salendo sul versante est della valle in quel di Corna, Locatello, Fuipiano, allora la visione s’allarga) il Serrada offre le cimette gemelle che salgono dalla Pasada, la Quarenghi (ribattezzata così solo nel 1999; prima si chiamava Redunda) e la cima Piazzo, che si pongono come di fronte al più alto Pizzo di Brumano e alla successiva Daina. Questo gioco di prospettive mi ha sempre ricordato l’immagine di un sovrano che allarga le sue braccia (rispettivamente, guardandolo, il Palio a destra, e le Camozzere a sinistra) e abbraccia le sue genti, “serrando” la valle in un gesto di protezione.
Tra i numerosi ritratti del Re che ho fatto percorrendone le creste, quello che vi propongo oggi è quello che credo mi sia venuto meglio. Ormai è da anni che evito la via normale che sale da Brumano o dalla “stanga”; a volte evito pure di arrivare al crocione della Punta Cermenati. Mi piace percorrere le vie meno affollate e scovarne nuovi segreti. La mia nuova “normale” tuttavia è ormai diventata la via che sale dalla Val Coldera, e che conduce in quel bellissimo anfiteatro dolomitico sovrastato dalla Punta Stoppani, dal Dente, dalla Manzoni e dalla Cima Pozzi.
Un paio di estati fa l’ho risalita che aveva appena fatto temporale; giravano nebbie nervose che disegnavano scenari di luce continuamente cangianti. Risalita la val Caldera sono sbucato poi sull’orlo di quella meravigliosa spaccatura poco sotto la croce che un tempo conservava neve perenne; ho evitato la Cermenati e mi sono arrampicato sulla Stoppani. Di fronte, il crocione; attorno, un mare di nebbie vorticose. Ho tirato fuori la macchina dallo zaino e ho aspettato.
Avviene qualcosa di particolare, nell’espressione del proprio sentire, che si tratti di fotografia, musica o altro, quando il sentimento si allinea con ciò che accade fuori di sé. Si crea un momento autentico. E si entra in un contatto profondo con il proprio essere. Così, scattai più volte mentre aspettavo il momento buono. Ma uno scatto in particolare mi fece dire: eccolo. Questo è il Serrada. E’ la mia montagna. Ed è la fotografia che vi propongo oggi.
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Mi fai tornare a 60 anni fa quando si partiva dalla Roncola per la cima del Resegone,poi si scendeva a Pescarenico a bagnarsi nel lago,poi a Torre de Busi e con la funivia su a Valcanale e ritorno x la sera alla Roncola. Grazie.