Penna e calamaio – Antonio Carminati, il custode della storia valdimagnina che racconta la valle da 25 anni

''Per scrivere bene occorre innanzitutto amare sé stessi''. L'intervista ad Antonio Carminati: scrittore, appassionato di storia, custode dell'antichità e molto altro è Antonio Carminati, direttore e penna di punta del Centro Studi Valle Imagna.
27 Giugno 2018

Scrittore, appassionato di storia, custode dell'antica ruralità valdimagnina e molto altro ancora è Antonio Carminati, direttore e penna di punta del Centro Studi Valle Imagna. I suoi libri non sono solo un testamento per le future generazioni, ma il risultato di anni di ricerche e studi sul campo, in mezzo alla sua gente che tanto ama raccontare. E lo sguardo del suo operato è necessariamente rivolto al futuro.

La Voce delle Valli: Cominciamo dall'inizio. Come è nata questa passione per la storia della nostra valle e come ti sei avvicinato invece alla scrittura? Sono due facce della stessa medaglia? Prima del Centro Studi avevi mai pensato di scrivere libri? 

Antonio Carminati: La scrittura nasce dal bisogno di comunicare e di costruire relazioni per innescare processi di evoluzione che nascono dalla ricerca e dal confronto. Come due facce della stessa medaglia: da una parte una dimensione soggettiva, connessa al desiderio di conoscenza e di espressione personale, dall'altra una dimensione oggettiva diretta a sostenere processi di rigenerazione ideativa e di cambiamento della realtà. Dunque una scrittura che nasce dentro le questioni sociali e rimane connessa alle espressioni della cultura popolare, che vive e si sviluppa nei luoghi concreti della vita e del lavoro delle persone e con le contraddizioni del nostro tempo. La scrittura assume così una funzione sociale propedeutica allo sviluppo locale, ossia è uno degli strumenti più importanti di traduzione delle manifestazioni della cultura materiale di un popolo. Scrivere per fare e trasmettere memoria. Nella mia scrittura bisogni personali e sociali tendono a coincidere, poiché lo scrivere non è mai solo un esercizio letterario, ma risponde a esigenze concrete di affermazione della realtà e del suo cambiamento. In questo senso la mia scrittura si sviluppa dentro l'alveo del Centro Studi Valle Imagna.

Il Centro Studi Valle Imagna quando è nato? Chi lo ha fondato? Tu in che anno sei arrivato? 

Il Centro Studi Valle Imagna (così chiamato per la sua provenienza) è stato ufficialmente costituito per atto notarile il 31 gennaio 1997, anche se ha mosso i suoi primi passi informali sin dal 1991. La sua ragione sociale esatta è “Centro Studi di Cultura, Economia e Amministrazione della Montagna”. Sin dall’inizio, infatti, non si è voluto fondare un cenacolo letterario, oppure dar vita a un gruppo elitario dove si praticano pur piacevoli esercizi di ricerca e scrittura fine a sé stessi. L’obiettivo è stato invece quello di creare le condizioni per far dialogare gli elementi culturali con quelli economici e di governo del territorio: una cultura dunque che, nella sua accezione di laboratorio di pensiero e spazio di incontro tra le persone, si confronta costantemente con le istituzioni locali e le imprese, così da riscoprire e valorizzare gli elementi dell’identità e migliorare le condizioni di vivibilità di contrade e paesi.

Ho partecipato alla fase fondativa del Centro Studi, assieme a un gruppo eterogeneo di persone, una quindicina in tutto, provenienti da vari contesti sociali: professori, imprenditori, funzionari, ma anche studenti, operai, casalinghe, artigiani… Tra tutti mi pace ricordare il prof. Mons. Vittorio Maconi, socio fondatore e primo presidente del Centro Studi Valle Imagna, il professor Costantino Locatelli, con il quale ho condiviso anni di ricerche sul campo, il professor Alessandro Ubertazzi, che ha dato l’imprinting alle nostre collane editoriali e l’architetto Cesare Rota Nodari, che da oltre vent’anni mi onorano con la loro amicizia,…

Quale è stato il tuo primo libro, e cosa ti ricordi di quella prima esperienza da scrittore? Paura, entusiasmo…

Richiamo due libri, in particolare: Gente e Terra d’Imagna e Castignì e Sansimù. Il primo è scaturito a seguito del grande convegno che si è tenuto in Comunità Montagna nel 1993, quando venne approvato il “Manifesto ideologico e operativo” (una sorta di carta dei principi dello sviluppo del territorio), grazie al quale sono state gettate le basi fondative del Centro Studi Valle Imagna. Il secondo, invece, scritto con l’amico Costantino Locatelli, descrive il viaggio di due osservatori tra le contrade storiche di Corna Imagna alla ricerca di informazioni circa la vita di ieri e di oggi delle famiglie, nell’evoluzione storica di ambienti umani assai particolari e ancora autentici, con l’obiettivo di riportare alla luce informazioni nascoste o sottaciute. Questi primi due volumi, cui hanno fatto seguito molti altri (oltre duecento in poco più di venti anni di attività), riflettono il taglio della ricerca etnografica che sta caratterizzando tuttora l’attività del sodalizio culturale.

I tuoi sono soprattutto saggi, racconti, ricerche, studi, raccolta di testimonianze ma non hai mai pensato, invece, di scrivere un romanzo ambientato in Valle Imagna, magari dal taglio storico? Potrebbe essere una formula accattivante per avvicinare anche i lettori più giovani? 

Non sento questa esigenza. Quindi sarebbe difficilmente realizzabile. La mia scrittura è un fatto molto concreto che nasce dall’osservazione diretta della realtà e dall’esigenza di conoscenza delle sue molteplici espressioni concrete e nella vita dei suoi protagonisti. Non ho ambizioni letterarie e per me la scrittura – ripeto – è uno strumento di affermazione e contemporaneamente di superamento della realtà. Al romanzo storico preferisco il saggio, alla poesia la prosa, privilegiando il racconto in prima persona dei diversi personaggi e attori della società. Molte pubblicazioni, soprattutto quelle connesse alle indagini sull’emigrazione bergamasca e sulla vita contadina nelle nostre valli, hanno dato voce ai protagonisti di quelle vicende, come pure ai luoghi e alle situazioni indagate cariche di un grande umanesimo.

Cosa consigli ad un ragazzo che vorrebbe diventare una penna del Centro Studi o che vorrebbe avvicinarsi da lettore ai vostri libri? 

La scrittura non è un’astrazione, ma riflette i sentimenti intimi di una persona e i bisogni oggettivi di una comunità. È il frutto innanzitutto di una ricerca interiore, che lo scrittore rivolge a sé stesso, poi al mondo circostante. Non a qualsiasi mondo, bensì al suo principalmente, quello che vive e sperimenta tutti i giorni, nella quotidianità. Prima si ricerca e si conosce, poi si scrive. La scrittura fine a sé stessa non giova se non alle ambizioni letterarie personali, mentre diventa invece un esercizio importante quando innesca dei percorsi di interpretazione e di dialogo con il mondo esterno. Per scrivere bene occorre innanzitutto amare sé stessi, gli altri e le cose che ci stanno attorno, riconoscendo l’apporto e la collocazione di uomini e cose nello spazio e dentro la grande storia. La scrittura diventa così un servizio, il punto di arrivo di un percorso.

Quale è il tuo libro di cui vai più fiero? Insomma, quello che ci consiglieresti di leggere…

Non saprei. Ogni libro, quando nasce da un processo creativo e di conoscenza dentro la storia, rappresenta un evento straordinario. Una sorta di miracolo della creazione di idee e pensieri che si rinnovano, sovrapponendosi e generando sempre nuove soluzioni. Dentro questo contesto espressivo, non esiste un libro più o meno prezioso di un altro, ma solo un libro che si rivela in modo più incisivo, oppure più vicino alla propria sensibilità e agli interessi di un determinato periodo della vita. Ogni volume, una volta pubblicato, esiste come soggetto a sé stante, la cui esistenza propria prescinde da quella dell’autore o dell’editore e si rivela ai lettori in modi diversi, gradualmente, non sempre nello stesso modo. Occorre avere pazienza. A volte il libro si rivela persino al suo autore solo dopo molti anni dalla pubblicazione. È l’inchiostro che si trasforma in soffio vitale di parole e significati che devono decantare, ossia chiarificarsi e sedimentare nella storia, anche in quella personale dello scrittore.

Diversi libri li hai scritti a quattro mani con Costantino Locatelli, cosa ci puoi dire del suo modo di scrivere, della sua prosa, del suo stile nel raccontare – senza troppi barocchismi – la storia della valle, quella ruvida e più verace.

Costantino Locatelli era una persona straordinaria. Con lui ho condiviso e attuato diverse ricerche sul campo rivolte alla conoscenza della civiltà dei bergamini, alla raccolta e studio dei caratteri dell’emigrazione bergamasca in Europa e nel Mondo. Abbiamo viaggiato insieme nei percorsi di ricerca e lungo le rotte dei nostri emigranti e bergamini, riscoperto e indagato la vita di soldati, contadini, boscaioli, allevatori di monte. Le sue preziose e indimenticabili qualità umane, ancor prima delle elevate competenze letterarie, mai venute meno, hanno rappresentato un riferimento indiscutibile e autorevole per tutti i componenti del Centro Studi. Uno dei suoi grandi meriti è stato quello di avere elevato al rango della cultura per così dire “colta” quella più di natura popolare, valorizzando ad esempio le espressioni della lingua locale ancora utilizzata dalla popolazione nelle contrade, esaltando le manifestazioni dell’architettura rurale storica, plaudendo alle attività di contadini e artigiani. Così, la sua scrittura sincretica, si apriva a 360 gradi sulla vita delle persone, cercando, attraverso lo strumento della commistione linguistica, di introdurre nella scrittura in lingua nazionale quelle espressioni tipiche della lingua locale. Costantino Locatelli non era uno dei tanti postillatori di storia: lui è stato molto di più, innanzitutto un creatore di storia, un cantore delle espressioni di vita e di lavoro del popolo. Con un coraggio da leoni.

Raccontare e quindi custodire la nostra storia è una vera e propria missione. Quanto tempo dedichi alla ricerca e alla scrittura dei tuoi libri?

La funzione di direttore del Centro Studi Valle Imagna occupa gran parte del mio tempo. La direzione editoriale delle tredici collane implica una valutazione complessiva di ciascun prodotto suscettibile di essere accolto nei nostri tipi. Il Centro Studi, infatti, non pubblica solo i volumi scritti dai soci, ma tende a valorizzare ricerche e studi di varia provenienza attinenti agli interessi statutari, quindi connessi alla conoscenza e alla valorizzazione delle espressioni della cultura del territorio delle valli orobiche. 

Quali sono le future iniziative letterarie ( e non) di Antonio Carminati e del Centro Studi Valle Imagna?

Se i libri devono servire a cambiare la realtà e a contribuire a migliorare le condizioni di vita della popolazione, questi devono essere poi accompagnati da azioni concrete. Soprattutto oggi la discriminante è il fare, più che il dire e lo scrivere. La cultura deve essere accompagnata all’economia e al governo del territorio. In questa fase, ad esempio, il Centro Studi Valle Imagna è particolarmente impegnato a tradurre in azioni concrete i molti concetti espressi nei suoi libri, riferiti soprattutto alla tutela e valorizzazione dell’architettura rurale di pregio delle nostre valli. I “libri di pietra” che stiamo realizzando in questi anni sono quelli relativi alla rigenerazione dell’Antica Locanda Roncaglia, al restauro della Bibliosteria di Cà Berizzi, alla rifunzionalizzazione della stalletta nella contrada Roncaglia e alla definizione della Berghemhaus di Arnosto. Libri di pietra costruiti sulla scorta del bagaglio di conoscenze e di abilità trasmesse dalla sapienza popolare impressa dagli antichi costruttori e attualmente rigenerata dalle nuove maestranze.

A conclusione vorrei invitare i lettori a riflettere su questa affermazione di Carlo Traini: “ La vita è bella, perché la gente è buona. Altrimenti, sarebbe vero che fare un libro è men che niente, se il libro fatto non rifà la gente.”

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